Dante spettacolarizzato ma non studiato nella contemporaneità del moderno. Oltre l’ironia
Occorrerebbe riflettere e uscire fuori dagli schemi. Bisognerebbe necessariamente descolarizzare Dante. Se non si riuscirà a fare ciò sarà una celebrazione vacua inetta non proficua sul piano dialettico. Una spettacolarizzazione. Se dopo queste “feste” si ritornerà alla normale lectio lettura, certamente, si è commesso un omicidio che è quello di un “ulteriore” assassinio di Dante. Assassinio omicidio – suicidio di Dante e non solo della “Commedia”, ma di tutto Dante. Deve servire a qualcosa questa cultura invasiva settecentenaria di Dante altrimenti sarà una occasione perduta. Tutte le pubblicazioni occupanti il mercato e i lettori a cosa serviranno? A cosa servirebbero? Dante non è quello scolastico e scolasticizzato. È altro perché è oltre.
Se sul piano della innovazione degli studi non si ha il coraggio di cercare di leggere attraverso percezioni interpretative che vanno oltre i modelli tradizionali, anche correndo diversi rischi, diventa tutto non antico ma vecchio. Credo che ci siano altre metodologie per approcciarsi a Dante e soprattutto per entrare nella vita della parola di Dante. Limitarsi a ciò che ci è stato inculcato sia durante gli anni scolastici liceali e universitari, per chi si è accostato a discipline umanistiche, non mi sembra favorevole a confrontarsi a Dante nel nostro tempo.
Non è vero che con il passare degli anni i capolavori sono intoccabili. Questa è una storiella bugiarda e una verità negata. L’approccio è una antropologia della transizione. La visione comparativa, o comparatista, è una dimensione della ricerca a più orizzonti. Dante è in Machiavelli, in Voltaire e Manzoni, in l’idealismo gentiliano, nell’eresia di una chiesa che nega il proprio proibizionismo, nella metafisica dello specchio di Zambrano e il mito archetipico che va da Guenon a Maria Corti, nell’ironia goliardica di De André nella religiosa musicalità di Brandurarti.
Non sono etichette da porre su un endecasillabo o su una pagina di un suo occhiello politico, ma sono viaggi ed itinerari profetici che lo stesso Dante ha intrecciato come chiasmi nella virtù che supera la conoscenza. Ormai in una temperie come quella che vivo che viviamo la figura di Dante sta diventando invasiva. Abbiamo anche il gelato all’inferno al Purgatorio al Paradiso danteschi. È diventato un prodotto. Nulla di male. Va benissimo. La cultura è mercato e prodotto. Giusto. Ma non possiamo però permetterci di trattare Dante come lo si porgeva cento o trenta anni fa. No. Non è possibile e neppure pensabile. Perché è mutato l’approccio e la ricerca è diventata articolata e disarticolata.
Tutte le culture hanno cercato di appropriarsi del suo pensiero. Ma bisogna conoscerlo seriamente. Un eretico reso tale dalla chiesa del Trecento sino alla fine dell’Ottocento. Un impolitico reso tale da ciò che chiameremo machiavellismo. Un mistico perché è oltre la teologia e resta dentro il profetico dei grandi iniziati. Appunto. Cominciamo con l’aprire la porta della iniziazione gustando l’Inferno Magnum Algida del Dante ironico e potentemente politicamente scorretto. Una bella idea quella della Algida. Ma il Dante vero però ci impone una rilettura che non è più quella della stanca “Lectura dantis” finora esercitata. Raccontiamolo nel vero e non attraverso modelli di un accademismo che non interessa più.
Se dopo 700 anni si dice e si scrive ciò che abbiamo già letto è stato vano tutto. Se non si considerano altri percorsi e se non si ha il coraggio la forza la volontà di scavare nella parola del pensiero e nel pensiero del linguaggio diventeremo omicidi serial e dei killer spaventosamente ridicoli. Non mi interessa ciò. Dante è altro e oltre. La Francesca di Dante è oggi la sintesi che va dalla Maddalena a Beatrice alla sensualità di Marylin Monroe. Non è il fatto in sé che ha la sua sola importanza ma è la deposizione dell’immagine in un immaginario che è diventato mito.
Il mito dal mondo mesopotamico all’età del fallimento delle certezze della scienza, qual è quello che stiamo vivendo, ha sempre creato degli idola. Idolatria! Dante è ancora dentro questo occhio. Bisogna vincere considerarlo come il terzo occhio per penetrarlo nel profondo. Questo è possibile farlo se abbiamo il coraggio di uscire dalla storia. La letteratura è oltre la storia perché in ogni epoca e in ogni geografia deve consumarsi in una terrigna empatia. Dante non è Trecento e non è nella spiegazione del mezzo del cammin essendo un profeta. Essendo tale è un raggio divino perché oltrepassa ogni sistema di interpretazione con note a pie’ di pagina.
Il pensiero la parola l’idea l’immagine la merafora sono viaggi che viaggiano nei popoli attraverso il sistema di una antropologia del sentire e dello sguardo. Mi affaccio a questa finestra. Vedo il buio però osservo la luce che non vedo. Perché? Mi trovo nel bosco e dialogo con il lupo che non mi sembra malvagio, mentre in lontananza vedo un uomo con un fucile tra le mani e gli occhi cinici. Perché? Mi trovo a leggere una pagina di Dante scritta qualche settimana prima della sua morte. Vedo Omero che suona con il canto della voce e Saffo che danza. Nelle stelle degli ultimi versi si è inserito Cronin e la luna però non dimentica il falò.
Perché?
Il fatto è che assistiamo al teatro dove i due personaggi duellanti sono la Storia e la Finzione. La Storia ne esce bugiarda. La Finzione supera la menzogna della Storia e diventa in colpo solo fantasia mistero verità. Perché? Rileggiamo Dante con la consapevolezza del coraggio e con la utopia degli impavidi.
Bisogna scandalizzare per farlo amare non in termini di stereotipi ma nell’inciso del pensiero scavato nell’inquieto esistere della ricerca del ricercare il profondo e il fondo. Così mi affaccio alla solita finestra e guardo. Francesca continua a fare l’amore con Paolo e Lucia va alla ricerca della notte per chiamarla al giorno mentre Beatrice sa non aver mai amato Dante rimasto uomo libero ma servo di Gemma. L’ironia è sempre la recita del vero.
Pierfranco Bruni, com.unica 3 maggio 2021