In merito all’attacco hacker alla Regione Lazio, un intervento di Fabio Martinelli dirigente di ricerca dell’Istituto di informatica e telematica (iit) del Cnr di Pisa e co-referente per l’area progettuale in cyber security: “Il ransomware è un software malevolo che, andando in esecuzione su sistemi informatici, li rende inservibili fintanto che un riscatto (ransom) è pagato, tipicamente in bitcoin una moneta virtuale (o criptovaluta) facilmente trasferibile e difficilmente rintracciabile, di fatto permettendo a criminali dall’altra parte del mondo di attaccare i nostri sistemi e ricevere un compenso senza spostarsi dalla propria scrivania.

Tipicamente, il ransomware agisce cifrando con una chiave ignota al possessore del Sistema informatico stesso, i files (dati) presenti, rendendoli inservibili da parte del legittimo proprietario. Se la cifratura è fatta con algoritmi robusti, sarà poi praticamente impossibile da parte del proprietario in tempi brevi riavere accesso ai files originali. In genere, comunque i ransomware non diffondono fuori del sistema informatico i dati del sistema stesso, rendendo il ransomware tipicamente un caso di mancata disponibilità dei dati, e non di confidenzialità dei dati stessi.

Per mitigare questo attacco vi sono varie soluzioni: quella tipica è creare regolarmente delle copie di back-up o ripristino, che dovrebbero essere utilizzate nel caso in cui i files originali non siano disponibili. È, però, importante assicurarsi che le copie di back-up non siano suscettibili del medesimo attacco, come purtroppo sembra sia successo nel caso della Regione Lazio. In questo caso il ripristino allo status quo può risultare molto difficile, se non impossibile.

Altre soluzioni sono ovviamente avere dei programmi di in esecuzione nei sistemi stessi rilevano la presenza del malware (antivirus) e gli usuali meccanismi di autenticazione che sono in essere in questi sistemi. Purtroppo, anche se vari livelli di meccanismi di sicurezza sono presenti, i cibercriminali studiano continuamente dei meccanismi per superarli e renderli inefficaci.

L’attacco alla regione Lazio fa risaltare una serie di dati noti. La diffusione dello smart working (che èstata fondamentale per rendere resiliente il Sistema paese) rende anche più vulnerabili i sistemi informatici, in quanto si compie un accesso da una serie di computer e devices più deboli e inseriti in un contesto meno difendibile quello familiari con molti devices non protetti.

Il dato di fatto è che i sistemi informativi della pubblica amministrazione in generale risultano vulnerabili ad attacchi informatici di vario tipo, come ha evidenziato una recente ricerca: il cyber crime as a service (crimine informatico come servizio) in cui anche persone con limitata competenza possono acquisire strumenti per attaccare terze parti (e quindi le motivazione dell’attacco possono andare da quelle economiche a quelle politiche).

In Italia, le attività in cybersecurity sono in rapida crescita con un notevole impegno del sistema governativo, industriale della formazione e della ricerca. A livello governativo è in dirittura d’arrivo l’iter per l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN), che l’Italia attendeva da tempo. Anche il Cnr con i suoi istituti e con il Laboratorio Virtuale in Cybersecurity contribuisce alle attività di ricerca ed innovazione,  partecipando a vari progetti di ricerca Europei come ad esempio il centro di competenza Europeo SPARTA oppure Cyber4.0 a livello italiano, giusto per citarne alcuni che mettono insieme competenze pubbliche e private. Ma è evidente che -per il ruolo che la trasformazione digitale sta avendo ed avrà- la cyber security debba ricevere maggiori investimenti, come la Presidente delle Commissione europea ha recentemente evidenziato, descrivendo la cyber security come l’altra faccia della medaglia della transizione digitale”.

com.unica, 4 agosto 2021

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