Il giornalista è in una prigione di massima sicurezza da sei mesi. Affetto da una malattia cardiaca cronica, rischia 12 anni di carcere.

Gariwo e Gazeta Wyborcza invitano società civile e comunità internazionale a non abbassare lo sguardo sui dissidenti bielorussi.

MILANO, 5 ottobre 2021 – Andrzej Poczobut è un giornalista residente a Hrodna, una città bielorussa di confine, ed è attivista dell’Unione dei polacchi in Bielorussia. Dalla fine di marzo è in carcere perché le autorità di Minsk lo accusano di “incitamento all’odio religioso ed etnico”. Insieme a lui sono in carcere la presidentessa dell’Unione dei polacchi Andżelika Borys e altri dissidenti.

Lo scorso 25 marzo le forze dell’ordine bielorusse lo avevano imprigionato dopo averlo prelevato dal suo appartamento. Alla fine di agosto la custodia di Poczobut è stata prolungata di tre mesi. In una lettera pubblica, Poczobut ha detto che non chiederà la grazia a Lukashenko nemmeno sotto pressione.

Secondo quanto riportano i siti di informazione polacchi, in carcere Poczobut sarebbe stato privato dei medicinali necessari a curare i suoi problemi cardiaci e a giugno il giornalista ha dovuto combattere un’infezione da Covid-19.

La Fondazione Gariwo ha accolto l’appello di Adam Michnik – direttore e fondatore della Gazeta Wyborcza, il quotidiano polacco più importante, nato nel solco del “Solidarność” – per rilanciare anche in Italia la campagna promossa dal suo giornale affinché Poczobut e gli altri dissidenti bielorussi vengano rilasciati dal regime di Lukashenko. Per questo motivo Gariwo pubblica sul suo sito gli interventi di quattro grandi voci in difesa della libertà d’espressione in Bielorussia: oltre allo stesso Michnik (qui l’articolo), su gariwo.net si possono leggere gli articoli della candidata alle ultime elezioni bielorusse Swiatłana Cichanouska, ora rifugiata in Lituania; di Vera Jourova, giurista ceca e vicepresidente della Commissione europea per le politiche sui valori e sulla trasparenza; e infine della scrittrice premio Nobel 2018 Olga Tokarczuk.

“L’unico crimine che il nostro amico Andrzej Poczobut ha commesso è di volere la libertà per il suo Paese”, spiega Adam Michnik, che tra gli anni Sessanta e Ottanta è stato uno dei più grandi oppositori del regime comunista polacco, venendo imprigionato dopo gli eventi di marzo del 1968 e di nuovo dopo l’imposizione della legge marziale nel 1981. “E sta pagando il prezzo di questa aspirazione come, prima di lui, Aleksandr Isayevich Solzhenitsyn, Václav Havel, Nelson Mandela e Jacek Kuroń. I nomi dei regimi totalitari cambiano, ma la loro essenza rimane la stessa”. 

Lo scorso 25 settembre i colleghi di Poczobut, che da Minsk scriveva anche per la Gazeta Wyborcza, così come attivisti e cittadini comuni, sono scesi in piazza a Varsavia chiedendo la sua liberazione. Nell’ambito della campagna avanzata da “Gazeta Wyborcza”, l’immagine di Andrzej Poczobut è stata esposta al Palazzo della Cultura e della Scienza di Varsavia. 

In occasione della cerimonia per i nuovi Giusti del Giardino di Varsavia dello scorso 23 settembre, la Fondazione Gariwo attraverso lo scrittore ed esperto di Polonia Francesco M. Cataluccio ha ufficialmente annunciato di voler sostenere la campagna di Gazeta Wyborcza. La speranza è che la vicenda di Poczobut venga ripresa da tutta la stampa nazionale italiana e che le organizzazioni internazionali e la politica europea facciano pressioni su Minsk per la liberazione dei giornalisti.

Negli ultimi mesi il presidente Alexander Lukashenko ha infatti intensificato la repressione del suo regime su qualsiasi potenziale opposizione ordinando la chiusura di decine di ONG, sostenendo che sono gestite da entità straniere che fomentano la destabilizzazione del paese. A metà agosto più di 60 organizzazioni della società civile sono state chiuse, comprese attività che promuovono i diritti delle donne, aiutano i disabili e lavorano con malati di AIDS. Ciò avviene in mezzo a una più ampia repressione dei media indipendenti e degli attivisti pro-democrazia, iniziata un anno fa dopo le proteste di massa in seguito alla rielezione di Lukashenko dopo una campagna elettorale ampiamente contestata.

Secondo Rachel Denber, vicedirettore della Divisione Europa e Asia centrale di Human Rights Watch (HRW), la portata dei raid e degli arresti degli ultimi mesi in Bielorussia non ha precedenti in tutta la regione”. Per Reporters sans frontières (RSF), la Bielorussia è il paese più pericoloso d’Europa per i giornalisti e per l’Associazione bielorussa dei giornalisti (BAJ) nell’ultimo anno quasi 500 giornalisti sono stati arrestati, 29 sono stati incarcerati e 70 hanno subito violenze documentate.

Sebastiano Catte, com.unica 5 ottobre 2021

Condividi con