L’AQUILA – Nella storia dell’Aquila gli anni 1423-24 sono ricordati come la guerra di Braccio da Montone e la città sarà coinvolta, suo malgrado, nell’intricata questione della successione alla regina Giovanna II d’Angiò, ribellandosi ai disegni della sovrana che, non avendo figli, aveva designato a succederle Alfonso d’Aragona invece di Luigi III d’Angiò.

La regina aveva nominato governatore degli Abruzzi il perugino Braccio Fortebraccio da Montone, in cambio degli aiuti militari contro Iacopo (Muzio) degli Attendoli che si era guadagnato il soprannome di Sforza dal suo maestro Alberico da Barbiano per la tenace resistenza, il rifiuto di ogni scoraggiamento e la capacità di rovesciare a proprio favore le situazioni più difficili.

Iacopo degli Attendoli, cioè Muzio Attendolo Sforza, era al servizio di Luigi III d’Angiò, anche lui pretendente al trono di Napoli come successore di Giovanna II d’Angiò. In quel momento si giocava una partita molto importante nel nostro Paese in cui l‘elemento nuovo che si profilava all’orizzonte era la signoria di Braccio, che stava creando su buona parte dell’Italia Centrale dopo aver assoggettato l’Umbria e le Marche.

Le mire di Braccio erano, a dire il vero, ancora più ambiziose. Egli mirava alla conquista di Napoli o, nel caso non fosse stato possibile, almeno la legittimazione di quanto già usurpato. Negli anni 1423-24 l’Italia intera attese la fine dello scontro dal cui esito sembrava dipendere l’assetto della Chiesa, del Regno di Napoli, del ducato Visconteo di Milano e della Toscana.

Papa Martino V fu molto astuto, approfittando della rivalità fra Firenze e Milano, nel coinvolgere nella lega antibraccesca che di lì a poco si formerà, anche Filippo Maria Visconti, ultimo cesare visconteo. Nel corso degli eventi la regina Giovanna ripudiò il figlio adottivo Alfonso d’Aragona e designò Luigi III d’Angiò come suo successore, accogliendo di nuovo a corte Muzio Attendolo Sforza che, con il figlio Francesco, aveva difeso l’Angioino contro gli Aragonesi. La situazione di per sé complicata, precipitò per la decisa opposizione dell’Aquila ai disegni di Braccio Fortebraccio da Montone, che il 12 maggio 1423 si presentò sotto le mura aquilane, contestando alla città l’aperta ribellione alla sua sovrana.

In un primo momento la città era stata favorevole alla politica di usurpazione di Braccio, ma poi l’atteggiamento cambiò e divenne di netta opposizione quando L’Aquila si rese conto che un’eventuale signoria di Braccio avrebbe ridotto di molto, se non addirittura annullato, l’autonomia di cui godeva e che le derivava dalla sua natura demaniale.

L’assedio durò tredici lunghi mesi ma la coalizione di Giovanna II, Papa Martino V, Filippo Maria Visconti, permisero la resistenza della città e lo sfaldamento del fronte braccesco. Il Visconte di Milano finanziò Giovanna II a corto di denaro. Così la regina poté pagare Giacomo Caldora, che aveva fornito i cavalli e dopo averli pagati inviare a L’Aquila Muzio degli Attendoli Sforza e il figlio Francesco con 1200 uomini, per liberarla dall’assedio di Braccio da Montone.

Era gennaio, il 3 gennaio 1424, nella piana di Bazzano a 6 chilometri da L’Aquila, il fiume Aterno era in piena e l’esercito sforzesco stava attraversandolo, in prossimità dell’attuale stazione ferroviaria di Paganica, quando Muzio degli Attendoli, già arrivato sull’altra sponda, tornò in acqua per incitare le truppe ma, sbilanciatosi nel tentativo di agguantare uno scudiero in procinto di affogare, perse l’equilibrio e, trascinato dal peso dell’armatura scomparve nel fiume. Per due volte si videro emergere dall’acqua le sue mani giunte ma, per l’impeto della corrente, non fu possibile salvarlo.

La perdita del condottiero fu un duro colpo per la regina Giovanna che subito trasferì al figlio di Muzio, Francesco, il comando dell’esercito, dichiarandosi sicura che egli avrebbe onorato sia il soprannome che il comando stesso. Non fu delusa: il giovane Sforza, in una cruenta battaglia combattuta il 2 giugno 1424 nella piana di Bazzano, sbaragliò la compagnia di Braccio, che ferito a morte morì tre giorni dopo e ciò mise fine alla guerra.

Ma qui vale la pena raccontarla questa battaglia, con il dispiegamento delle forze in campo nei due eserciti opposti. Nelle file dell’esercito di Braccio c’erano il perugino Niccolò Piccinino, il Gattamelata e Niccolò Fortebraccio della Stella. Nell’esercito degli alleati che combattevano in difesa dell’Aquila, oltre Francesco Sforza e il Caldora, c’erano Micheletto Sforza, Bartolomeo Colleoni, Niccolò Mauruzzi di Tolentino e Luigi da Sanseverino. Quando la battaglia campale stava al culmine, da una delle porte della cinta muraria dell’Aquila uscì un compatto squadrone di aquilani armati di tutto punto al comando di Antonuccio Camponeschi che, di sorpresa, caricò le retrovie dell’esercito braccesco portandolo alla disfatta, anche per il ferimento a morte di Braccio da Montone. Il condottiero ferito, dopo la sconfitta, si chiuse in un mutismo impenetrabile, rifiutando cure, cibo e acqua, spirando nella notte del 5 giugno all’età di 56 anni.

Braccio da Montone

Quanto alla partecipazione di alcune donne aquilane alla battaglia, inquadrate nello squadrone, si tramanda il racconto, ripreso da Pico Fonticulano, che furono le donne stesse a portare la notizia della vittoria, rientrando di corsa in città da Porta Roiana al grido “Bone novelle, bone Novelle!“. Attualmente, nei pressi di quella Porta, c’è ancora la chiesa dedicata a Santa Maria delle Bone Novelle o Sant’Apollonia, la santa cui le donne avrebbero fatto un voto prima di scendere in battaglia. Ma anche una strada, che da Porta Roiana sale fin quasi alla Piazza del Mercato (ora Piazza Duomo) porta da allora il nome di Via delle Bone Novelle.

Dopo la battaglia dell’Aquila, due scuole di guerra si confronteranno: quella basata sulla preparazione e la disciplina, che si chiamerà “sforzesca” e quella che preferirà velocità e improvvisazione e si chiamerà “braccesca”, dal nome del grande rivale dello Sforza, Braccio da Montone. Non è esagerato ritenere che in quella primavera del 1424, quasi sotto le mura dell’Aquila, appunto nella pianura nei pressi di Bazzano, si decidesse la sorte di buona parte della penisola e la storia dell’Europa riferita ai regnanti. Il 2 giugno 1424, la fortuna di Fortebraccio fu spezzata, in quella battaglia che fu la più cruenta tra le battaglie del secolo.

Un’annotazione e una proposta, infine, di ordine storico, politico e culturale. Proprio per questa ultima considerazione, riguardo l’importanza che la guerra dell’Aquila e la decisiva battaglia del 2 giugno 1424 hanno avuto non solo nella storia civica, ma finanche europea, perché non realizzare un cippo o un monumento che nella piana di Bazzano? Sarebbe significativo realizzarlo a fianco di una strada di grande traffico (ad esempio la Mausonia, nei pressi dell’Aterno), per fare memoria imperitura di questo fatto storico così importante. Affido questa proposta alle autorità comunali e a quelle associazioni culturali che in questi ultimi anni si sono tanto lodevolmente impegnate a rievocare questo vittorioso evento della storia dell’Aquila, sperando trovi buona accoglienza.

Angela Casilli*, com.unica 26 ottobre 2021

*già docente di Italiano e Storia nei Licei di Roma

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