Instagram risulta particolarmente tossico per le ragazze adolescenti, lo dimostra una ricerca interna al social network

Proprio nei giorni in cui Mark Zuckerberg è impegnato nel cambiare il nome alla sua azienda, su molte testate giornalistiche continua a tenere banco quanto è trapelato di recente riguardo all’impatto negativo dei social media sulla salute mentale dei giovani.

Il Wall Street Journal ha pubblicato nei giorni scorsi i risultati di uno studio condotto all’interno di Facebook, secondo cui il social network avrebbe amplificato i problemi di una ragazza su tre per quanto riguarda la propria percezione del corpo. Nel sondaggio, a cui hanno partecipato utenti del Regno Unito e degli Stati Uniti, oltre il 40% delle adolescenti iscritte a Instagram ha affermato di sentirsi “poco attraente”, una sensazione iniziata con l’utilizzo dell’app. Inoltre, il 13% delle adolescenti del Regno Unito e il 6% delle utenti statunitensi intervistate hanno manifestato su Instagram volontà suicide.

Nel corso della sua recente testimonianza al Senato degli Stati Uniti, l’ex dipendente di Facebook Frances Haugen, la fonte della fuga di notizie, aveva accusato l’azienda di prendere consapevolmente decisioni che mettono il profitto al di sopra della sicurezza dei giovani utenti. “Facebook sa che i suoi algoritmi di amplificazione, come il ranking basato sul coinvolgimento su Instagram, possono portare i ragazzi da argomenti molto innocui come ricette salutari a contenuti che promuovono l’anoressia in un periodo di tempo molto breve”.

Facebook ha contestato la versione di Haugen, affermando che la ricerca sul rapporto tra social media e benessere è relativamente nuova e in continua evoluzione. In risposta al WSJ, Instagram ha pubblicato un lungo post a difesa della sua ricerca. “L’articolo del WSJ – si afferma sul blog del social network – si è concentrata su una serie limitata di risultati e li mette in una luce negativa, ma la questione è molto più complessa. Sulla base della ricerca e del feedback degli esperti “abbiamo sviluppato delle funzionalità in grado di permettere alle persone di proteggersi dal bullismo, dando a tutti la possibilità di nascondere i conteggi dei “mi piace” e abbiamo inoltre continuato a connettere le persone alle prese con problemi con organizzazioni locali di sostegno”.

Ma se si ascoltano le dirette interessate la versione dei fatti è molto diversa. “I social media hanno contribuito ai miei bassi sentimenti di autostima e fiducia in me stessa”, racconta ad esempio Jada Bromberg, una giovane della Virginia. “Vedere altre persone che sembrano avere una vita perfetta ti condiziona molto, anche se è vero che quasi sempre le persone mettono le loro immagini migliori sui social media e non le peggiori” prosegue. La ragazza ha iniziato a usare i social media quando aveva 13 anni. Il suo rapporto con il social è diventato presto di tipo compulsivo e questo ha contribuito a peggiorare una depressione già latente. Ora Jada dirige un programma di sensibilizzazione sulla salute mentale nella sua scuola in cui i coetanei possono ricevere consigli e condividere le loro esperienze.

È facile capire come la posta in gioco sia da non sottovalutare. Le prove che collegano l’uso dei social media e i problemi di salute mentale negli adolescenti erano in parte già evidenti prima che i risultati della ricerca interna di Facebook fossero resi pubblici. Una ricerca pubblicata da “Lancet” e un sondaggio condotto dall’OCSE sui bambini in 28 paesi avevano identificato nella mancanza di sonno, nelle molestie online, e nella perdita di autostima alcuni segnali preoccupanti legati all’uso dei social media. In Inghilterra, da un sondaggio condotto su mezzo milione di adolescenti – il più grande al mondo nel suo genere – si è arrivati alla conclusione che la salute mentale era al primo posto tra le loro preoccupazioni. Le ragazze appaiono più colpite negativamente rispetto ai ragazzi.

La ricerca di Facebook su Instagram contiene citazioni di adolescenti che ad esempio affermano: “Mi sento male quando uso Instagram ma sento anche di non potermi fermare”. “So che più tempo ci passo e peggio mi sento”. Insomma, come ben spiegato anche nel recente documentario “Social dilemma”, il social network sfrutta la capacità del nostro cervello di generare dopamina, vere e proprie scariche di piacere per costringerci a restare inchiodati per tanto tempo sulla loro applicazione. Creando così una sensazione di falso benessere che conduce di fatto alla dipendenza, come una droga.

Il capo della sicurezza dei bambini online della “National Society for the Prevention of Cruelty to Children” americana, Andy Burrows, ha affermato che “è spaventoso che i responsabili di Facebook abbiano scelto di restare con le mani in mano piuttosto che agire in base a quelle prove”. “Invece di lavorare per rendere sicura la rete, hanno ostacolato i ricercatori, autorità di regolamentazione e governo, e conducendo una campagna di pubbliche relazioni e di lobbying nel tentativo di dimostrare il contrario”. Il deputato Damian Collins, che presiede la commissione parlamentare del Regno Unito che sta esaminando come le grandi tecnologie dovrebbero essere regolamentate per proteggere la sicurezza degli utenti, ha affermato che è giunto il momento di “ritenerli responsabili”. “L’indagine del Wall Street Journal ha rivelato come l’azienda, di volta in volta, anteponga il profitto al danno”, ha affermato.

Jonathan Haidt, psicologo sociale della New York University, a sua volta ha sottolineato che il problema non è che i più giovani utilizzino smartphone o Internet, ma piuttosto che le piattaforme li incoraggiano a esporsi a valutazioni, commenti, critiche e ‘mi piace’ da parte di estranei e amici — quantificando essenzialmente il loro valore sociale. Haidt suggerisce che gli adolescenti non dovrebbero essere autorizzati a pubblicare foto o essere valutati, almeno fino a quando non raggiungano i 16 anni di età.

Sebastiano Catte, com.unica 29 ottobre 2021

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