Oligarchi, come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia
Intervista a Jacopo Iacoboni, co-autore di un libro-inchiesta sulla “gigantesca operazione d’influenza” in Italia di spie e oligarchi collegati al Cremlino
“Follow the money”, segui il denaro e i flussi finanziari che lasciano sempre traccia: era questo il metodo innovativo e vincente che Giovanni Falcone adottava nelle sue indagini e raccomandava di seguire per capire in profondità il sistema criminale mafioso. Un approccio simile è quello adoperato da Jacopo Iacoboni, firma di punta della “Stampa”, nel libro-inchiesta Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia (Laterza), scritto in collaborazione con il collega Gianluca Paolucci, giornalista finanziario dello stesso quotidiano torinese. I soldi (tanti) di cui si parla in questo libro – da oltre un mese nelle librerie italiane, acquistabile anche in formato ebook – non si riferiscono però all’onorata società ma sono quelli immessi in Italia dagli oligarchi russi, spesso strettamente collegati al Cremlino attraverso il ricorso a complesse operazioni finanziarie e societarie.
“Spie e oligarchi russi in Italia sono due facce diverse, ma concorrono a raccontare una storia che si sovrappone, quella di una medesima, gigantesca operazione d’influenza, che gli ultimi anni non hanno fatto che favorire, ma che viene da lontano” si legge nel prologo del libro. Ovviamente, non sempre gli oligarchi russi in Italia sono anche ex spie – precisano i due autori. Ma a volte succede anche questo. E non si è mai un ex, del KGB. “Quando nasci uomo del KGB, come Putin, resti per sempre del KGB” ripete spesso l’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, da sempre fiero avversario del regime autoritario con a capo un ex ufficiale dei servizi segreti sovietici che aveva operato in gioventù presso la famigerata Stasi a Dresda, nella ex Repubblica Democratica Tedesca.
Quel che emerge dal testo, un lungo racconto molto ben documentato e scritto in maniera tale da riuscire a catturare il lettore come un’avvincente spy story di John Le Carré, è un quadro allarmante e allo stesso tempo poco conosciuto del potere economico e del livello di interferenza da parte della Russia in Italia, anche attraverso internet.
Gli oligarchi protagonisti dell’inchiesta di Iacoboni e Paolucci sono uomini d’affari che hanno accumulato fortune immense a partire dagli anni delle privatizzazioni selvagge dell’èra di Boris Eltsin e che in seguito sono entrati a far parte del “cerchio magico” di Vladimir Putin grazie ad accordi in settori strategici dell’economia (come gas, petrolio, ferrovie, autostrade investimenti finanziari e immobiliari, ecc.). Molti di questi personaggi diventano strumenti al servizio della politica aggressiva di Putin indirizzata a indebolire le democrazie occidentali: agiscono acquistando grandi proprietà (soprattutto in Umbria, in Toscana e in Sardegna) e svolgendo attività che sfociano nello spionaggio, quasi sempre con la complicità di esponenti politici italiani, appartenenti soprattutto alla galassia populista arrivata al potere con il primo governo presieduto da Giuseppe Conte. Per saperne di più abbiamo intervistato Jacopo Iacoboni, che ci ha aiutato a fare luce su tanti aspetti chiave affrontati nel libro, a cominciare dalla sua genesi:
“L’idea di scrivere un libro su questi temi nasce dopo la famosa inchiesta che feci nel marzo del 2020 per ‘La Stampa’ quando all’inizio della pandemia rivelai i retroscena della famosa missione militare russa nel Nord Italia, le cui finalità erano tutt’altro che umanitarie come sostenuto dalla propaganda russa e da gran parte della stampa italiana”. Retroscena a dir poco inquietanti e che hanno spinto i due autori a voler scavare ancor più in profondità. In realtà quella che avrebbe dovuto essere una normale iniziativa di sostegno in favore di una popolazione duramente colpita dal Covid si rivelò a tutti gli effetti una vera e propria campagna di intelligence, autorizzata da una telefonata intercorsa nei giorni precedenti tra Conte e Putin. La vicenda oltretutto presentava, si legge nel libro, “i tratti inconfondibili di una grande operazione di propaganda: autocarri militari russi, con le bandiere russe a sventolare, per più di seicento chilometri di strada tra Pratica di Mare e Bergamo, dove erano stati destinati. Il web si riempì prontamente di clip trionfalistiche girate dai propagandisti di Mosca, e amplificate dai network di propaganda russa e dagli outlet finanziati dal Cremlino.” Nei giorni successivi arrivarono le lettere di protesta a “La Stampa” da parte dell’ambasciatore russo in Italia e soprattutto le odiose minacce contenute in una lettera del generale Igor Konashenkov, capo della comunicazione ufficiale del ministero della difesa, che si concludeva con queste terribili parole: «Chi scava la fossa, ci finisce dentro». Per quelle minacce Iacoboni ricevette attestati di solidarietà da esponenti di tutti gli schieramenti ma non dalla presidenza del consiglio. Nei giorni successivi, intervistato dalla Bbc, alla domanda se gli aiuti russi fossero interessati, l’avvocato del popolo si difese affermando, testualmente, che “la sola insinuazione è un’offesa al governo italiano. E anche a Vladimir Putin.”
Le minacce russe hanno sortito quindi l’effetto opposto a quello sperato, motivando ancor di più il giornalista ad andare avanti con le inchieste.
“In realtà – sottolinea Iacoboni – era da un po’ di tempo che stavo indagando sui russi e sui rapporti tra i russi e i partiti italiani populisti. Nei libri precedenti dedicati al Movimento 5 stelle (L’Esperimento e L’Esecuzione, entrambi pubblicati da Laterza) avevo già incontrato molte volte la Russia, i rapporti del giro putiniano con i grillini e poi con la Lega. In seguito sono giunto a delle conclusioni analoghe a cui era arrivato Gianluca, che in precedenza aveva indagato soprattutto sui collegamenti con la Lega, e quindi sull’attività di Gianluca Savoini e sui suoi rapporti con Konstantin Malofeev, uno degli oligarchi protagonisti del libro. Poi ci sono le vicende che vedono protagonisti l’ultra ottantenne Bruno Caparini e suo figlio (uomini di affari che operavano nel settore energetico ed esponenti di rilievo della Lega in Lombardia) in un’inchiesta su una turbina venduta grazie a una intermediazione dello stesso Caparini padre, su cui stava indagando l’Fbi. In quell’inchiesta avemmo la conferma che i rapporti tra personaggi vicini al Cremlino e politici italiani (specialmente populisti) e il livello economico-finanziario e bancario disegnavano un quadro d’insieme molto interessante e variegato. Quel che venne fuori è che la leva delle relazioni economiche è stata utilizzata regolarmente con tutta una serie di personaggi: sia russi in Italia ma anche italiani in rapporto con i russi, che poi ricompaiono più volte. Uomini a volte legati ad operazioni e fatti rilevanti di politica internazionale, come quelli relativi all’elezione del presidente degli Stati Uniti. Arrivammo così a scoprire che il potere dei soldi produce anche una forte influenza culturale del Cremlino in Italia. Per farti un esempio, quando tu compri interi pezzi della Toscana e inondi di soldi una regione come l’Umbria, poi ti spieghi perché passa nell’opinione pubblica un’idea della Russia così benevola”.
A questo riguardo, dovrebbe far riflettere quanto affermato da Putin nella conferenza stampa di fine anno a proposito delle ‘relazioni straordinarie’ con l’Italia…
“Sì, Putin infatti è arrivato ad augurarsi che l’Italia possa contribuire alla normalizzazione dei rapporti con l’Unione europea, addirittura favorire la trattativa che si sta delineando tra Nato e Russia. Questo significa che l’Italia dal Cremlino è vista come una sorta di entry point. Putin ha anche affermato che i rapporti con l’Italia sono soddisfacenti al di là dei partiti che di volta in volta governano. Sono sempre dei messaggi in codice che manda: come dire che lui ha buoni rapporti con tutti.”
Nel libro si mette in luce tuttavia il fatto che l’influenza della Russia nel nostro paese non comincia ora con i partiti populisti. Che novità sostanziali ci sono rispetto al passato?
“Con i governi Conte c’è stato un notevole salto di qualità nei rapporti con la Russia. È vero che in passato esponenti di un po’ tutti i partiti hanno intessuto dei legami con Mosca dopo la caduta del regime sovietico. Nel caso di Silvio Berlusconi dovremmo parlare di rapporti di tipo economico-personale ma non si è mai avuta la sensazione che il nostro Paese stesse sbandando sul piano geopolitico. Certo, possiamo ricordare alcuni dispacci molto preoccupati dall’ambasciata americana e dalla Cia quando si venne a sapere, nel 2010, di sospette transazioni energetiche tra Berlusconi e Putin. Lo stesso ambasciatore georgiano puntò il dito sull’opacità di quegli accordi di Berlusconi. In questi dispacci, pubblicati all’epoca da Wikileaks, si faceva riferimento ai rapporti personali con Putin, con conseguente preoccupazione da parte degli Usa. Tuttavia allora non erano in discussione le alleanze strategiche, mentre con il primo governo Conte sono accaduti fatti clamorosi in un clima di scarsa trasparenza e con una gestione molto opaca dell’intelligence. Ricordiamo la famosa cena a villa Madama offerta da Palazzo Chigi con Putin sotto braccio a Di Maio, Conte e Salvini. Oppure la stessa vicenda dei camion russi in viaggio verso Bergamo nel periodo più buio della pandemia da cui è partito il nostro reportage, con conseguente sfruttamento propagandistico da parte russa.”
Una gestione opaca che troverà conferma anche nel caso di due incontri autorizzati dallo stesso Conte nell’estate del 2019 tra i capi dei servizi segreti italiani e William Barr, il ministro della giustizia statunitense inviato dall’allora presidente Trump per cercare le prove di un presunto complotto ai suoi danni…
“È vero, si tratta di una vicenda legata al caso delle email sottratte al partito democratico Usa e alla sua candidata alle elezioni presidenziali del 2016, Hillary Clinton. Il procuratore Robert Mueller era giunto a scoprire in quella indagine imbarazzanti legami tra Donald Trump e il governo russo, da cui partì l’attacco informatico e il furto delle email. La tesi della contro-inchiesta pilotata dai sostenitori di Trump era che Joseph Mifsud, il misterioso professore maltese della Link University con sede a Roma che per primo aveva annunciato la presenza di email della Clinton, non fosse una spia russa come sostenuto dall’accusa e che si trovava al centro di un complotto organizzato dagli stessi democratici. Una tesi a dir poco bizzarra. Ma la cosa incredibile è che Conte concesse a Barr di incontrare il capo dei servizi segreti Gennaro Vecchione: una prassi decisamente anomala perché come tu sai i dirigenti dell’intelligence si devono incontrare tra loro. Ricorderai anche che pochi giorni dopo Trump e Conte si appartarono a lungo per un colloquio riservato nel corso del G7 di Biarritz. In seguito arrivò il famoso tweet in cui Trump elogiava l’amico Giuseppi”.
Il clima ora sembra essere decisamente cambiato sul piano internazinale con l’avvento di Joe Biden alla Casa Bianca e su quello interno con Mario Draghi alla presidenza del Consiglio all’inizio del 2021. Credi che si sia fatto abbastanza nell’ultimo anno per frenare l’influenza russa nel nostro paese?
“C’è stato un cambio di rotta netto con il passaggio da Conte a Draghi, non c’è dubbio: Conte non solo minimizzava ma negava il problema russo. Non è un caso che la prima dichiarazione che fece Draghi al suo primo consiglio europeo da presidente del consiglio fu proprio sulla Russia: sostenne che il livello di interferenza russa aveva raggiunto livelli allarmanti, sia sul web sia sul fronte delle spie. Queste affermazioni colpiscono e sorprendono un osservatore attento perché a otto mesi di distanza due premier dello stesso paese, in possesso di identiche informazioni di intelligence, arrivano di fatto a conclusioni diametralmente opposte. Draghi ha già fatto tanto per frenare questa influenza. Se ci fai caso, appena insediato rimuove Domenico Arcuri dalla carica di commissario per l’emergenza anti-Covid, manda via Vecchione dal vertice dell’intelligence, nomina l’ex capo della Polizia Franco Gabrielli e Elisabetta Belloni come autorità delegata, separando il premier dai servizi, come si era sempre fatto in passato. Infine c’è la nomina all’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) di un generale dei carabinieri che certamente non fa parte della schiera dei populisti. Una discontinuità molto netta che cancella di fatto la stagione precedente.”
Nel libro si è parlato dell’attività di propaganda svolta attraverso i media e in particolare sui social, come nel caso dei troll manovrati dalla famosa factory di San Pietroburgo. Ritieni che ci sia ancora il rischio che il Cremlino possa condizionare le democrazie occidentali ricorrendo a questi strumenti?
“Oggi c’è un minimo di consapevolezza in più. È tuttavia vero che sono in piedi ancora tanti canali di propaganda ancora molto forti, sui social, su gruppi di pagine coordinate. C’è stato un momento che erano attivi molti account (soprattutto a partire dal 2016) che agivano su twitter, e sono venute fuori liste di troll russi che erano manovrati non solo dalla famosa factory di San Pietroburgo. Centrali di propaganda russa sono ancora molto attive nel web italiano: spesso nascono e muoiono o vengono ricreate. Mi riferisco in particolare a canali come Pandora tv, Sputnik Italia, l’Antidiplomatico. C’è ancora una diffusione della narrazione del Cremlino molto forte. La vera differenza rispetto al passato è che oggi non esiste più il network filorusso grillino legato a Casaleggio, che prima faceva da amplificatore delle operazioni di propaganda del Cremlino, a partire dal blog di Grillo. Attualmente credo che la propaganda russa si stia concentrando sulla spinta legata agli antivaccinisti. Non ho indagato a fondo su questo (sarebbe interessante approfondire il tema) ma ho il forte sospetto – e ci sono forti indizi al riguardo – che dietro la propaganda novax ci sia una forte spinta russa. D’altra parte abbiamo assistito a una intensa campagna mediatica in favore del vaccino Sputnik, sfruttando canali già aperti. Lo stesso Sputnik ha avuto un suo canale dedicato che non solo diffondeva propaganda a suo favore ma puntava allo stesso tempo a screditare i vaccini Pfizer e Moderna.”
In altri termini la strategia di Putin è quella di affrontare la crisi globale del coronavirus come una sorta “guerra ibrida”, esportando instabilità in un momento di grande difficoltà per l’Occidente…
“Sì, la campagna messa in atto contro Pfizer da reti di pagine russe coordinate è molto eloquente, questo è successo nell’ultimo anno. Prima hanno usato soprattutto i partiti populisti e le reti permeabili a loro, adesso invece sfruttano la pandemia e si insinuano sulle fratture presenti nei paesi occidentali e le cavalcano. Il fine è sempre quello di destabilizzare i paesi europei e le democrazie.”
È stata messa in campo una strategia politica da parte nostra, anche sul fronte tecnologico, per provare a fermare questa minaccia?
Ho l’impressione che l’Europa stia procedendo su questo fronte in ordine un po’ troppo sparso. Ho visto che a proposito dell’ultima comunicazione alla Camera di una settimana fa, prima del consiglio europeo a Bruxelles, in due passaggi molto espliciti Draghi si è soffermato sulla necessità di rafforzare le reti cibernetiche per rispondere alla minaccia “ibrida”. E quando si parla di minaccia ibrida ci si riferisce alla Russia, è evidente. A me sembra che Draghi abbia capito l’importanza della posta in gioco, mentre sul fronte europeo paesi come la Francia e la Germania si muovono con una certa esitazione, anche per via di interessi che non sono del tutto coincidenti. Nella conferenza stampa del 22 dicembre lo stesso presidente del consiglio ha riconosciuto che l’Europa non dispone purtroppo di alcun strumento di pressione sulla Russia. In realtà potrebbe averlo se accogliesse la recente proposta avanzata da Biden sui due tipi di sanzioni da mettere in atto come deterrenza rispetto alla minaccia, sempre più incombente, di invasione dell’Ucraina. Anzitutto misure di contrasto in Europa nei confronti degli oligarchi, uomini a cui piace molto la dolce vita europea e italiana in particolare. Loro girano e operano in Europa indisturbati, le loro barche sono ormeggiate in Sardegna, a Montecarlo. È indubbio che Putin si troverebbe in questo caso isolato dalla cerchia del suo potere economico se queste persone fossero costrette a starsene in Russia anziché a Parigi, Londra, in Toscana o in Sardegna. In secondo luogo si è pensato di tagliar fuori gli oligarchi dal sistema bancario. Secondo me queste due sarebbero sanzioni micidiali se venissero adottate: ovviamente da tutti, dagli Usa e dall’Unione europea. Il problema è che in Italia non è facile farle rispettare, senza considerare il fatto che spesso quando c’è una sanzione europea poi non c’è la legge nazionale in grado di renderla effettiva e che la implementi.”
In teoria quindi ci sarebbero delle misure che sulla carta potrebbero rivelarsi efficaci ma che poi non vengono perseguite nei singoli stati. Oltretutto con le nostre divisioni e incertezze ci scontriamo con un un potere monolitico come quello di Putin.
Sì, in effetti le operazioni estere di propaganda continuano ad essere efficaci. Lo dimostra, tanto per fare un esempio, una recente indagine del Levada Center, l’unico istituto russo di sondaggi indipendente, secondo cui la Nato sarebbe il maggiore responsabile della crisi con l’Ucraina (per il 50%) mentre per il 16% dei russi le colpe maggiori sarebbero da attribuire all’Ucraina. Questo dipende dal fatto che Putin detiene il pieno controllo dei media, che può orientare a suo piacimento. Quando ha problemi interni le leve della propaganda sulla politica estera sono lo strumento migliore per frenare i mugugni interni sulla crisi economica che attanaglia il popolo russo, aggravata dalla pandemia. Negli ultimi tempi oltretutto si è spinto oltre e ha adottato delle misure per censurare il web: ha chiuso Tor, il browser che permette la navigazione in modo anonimo e molti temono che possa arrivare a chiudere YouTube. Si prospetta quindi una stretta molto forte, con un esito di tipo “cinese”: ricordiamo infatti che Internet era rimasto l’ultimo strumento che distingueva la Russia da una dittatura classica, l’unico residuo spazio di libertà rimasto.”
Sebastiano Catte, com.unica 30 dicembre 2021
*Articolo già pubblicato su La Voce di New York