Al Roverella di Rovigo Kandinskij come in Italia non si è mai visto
“Di mostre su o intorno a Kandinskij in Italia ne sono state proposte parecchie negli ultimi anni, ma nessuna con ambizioni come quelle che noi ci poniamo”: ad affermarlo è Paolo Bolpagni, che con Evgenia Petrova cura “Kandinskij. L’opera / 1900-1940”, a Rovigo, in Palazzo Roverella, dal 26 febbraio al 26 giugno prossimi, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in collaborazione con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, e prodotta da Silvana Editoriale che cura anche l’edizione del catalogo.
A giustificare questa presa di posizione sono, da un lato, l’impianto scientifico dell’esposizione, dall’altro il numero e soprattutto la qualità delle opere riunite nelle dodici sezioni. A precederle è un’ulteriore sala introduttiva riservata all’arte popolare russa, con un focus sulle espressioni creative dei popoli della Vologda (Russia settentrionale), con le quali l’artista entrò in contatto durante un soggiorno in quei territori nel 1889.
Abbandonata la carriera giuridica, nel 1896, all’età di trent’anni, Kandinskij si trasferisce a Monaco di Baviera per studiare pittura, prima con Anton Ažbe, poi con Franz von Stuck. Nel 1901 fonda l’associazione “Phalanx”. Le sue opere rilevanti sono xilografie e dipinti dalle atmosfere fiabesche, che spesso si rifanno al folklore russo. Tra esse “Sonntag”, del 1904, dal Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam.
Dopo un periodo di peregrinazioni tra l’Europa centro-occidentale e la Russia, nel 1908 Kandinskij si stabilisce a Murnau, in Baviera. I suoi dipinti si caratterizzano ora per grandi zone di colore brillanti giustapposti. E in mostra, accanto ai suoi capolavori, si ammirano opere di Gabriele Münter, Marianne von Werefkin e Alexej von Jawlensky.
Il modello musicale (con le celebri “improvvisazioni” e “composizioni”) è fondamentale nel passaggio dalla figurazione all’astrattismo, ed è ravvisabile anche nel rapporto con il compositore e pittore Arnold Schönberg, di cui sono presenti in mostra due importanti dipinti.
Poi per Kandinskij ha inizio una fase creativa magmatica, fino al suo approdo definitivo all’astrattismo. Il colore si libera dal disegno, dalla linea, e perde ogni funzione rappresentativa: è un mezzo autonomo, che serve a suscitare sensazioni, a esprimere l’animo dell’artista e le sue percezioni non soltanto visive, ma sonore, tattili, psicologiche. “Improvisation 34”, del 1913, è un’opera emblematica, proveniente dalla città di Kazan, dal Museo di Stato di Belle Arti della Repubblica del Tatarstan.
Una sezione è dedicata al gruppo del “Cavaliere azzurro”, e di questo momento è il dipinto Der Reiter (Sankt Georg), prestato dalla Galleria Tret’jakov di Mosca, posto a confronto anche con lavori di Paul Klee.
Alla fine del 1914, dopo alcuni mesi trascorsi in Svizzera, Kandinskij rientra in patria, stabilendosi a Mosca. Dopo la rivoluzione riceve incarichi d’insegnamento e organizzazione. Continua a teorizzare la correlazione tra forma, colore e musica, contrastato da parte degli assertori di posizioni più costruttiviste e materialiste (Rodčenko, la Popova, Punin, che critica le sue “deformazioni spiritistiche”). Ritrovatosi isolato, nel dicembre del 1921 Kandinskij torna in Germania. La sua pittura, nel frattempo, ha conosciuto una progressiva tendenza alla geometrizzazione, come documentano in mostra le opere concesse dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo e dal Puškin di Mosca.
Un approfondimento è riservato ai dipinti di Kandinskij su vetro eseguiti nel 1918. Si tratta di composizioni figurative, che riprendono temi e modi del mondo fiabesco russo. Ricorrente è l’iconografia della “donna cavaliere”.
Nel 1922 Kandinskij si trasferisce a Weimar a insegnare al Bauhaus. Qui ritrova l’ideale di comunanza e sintesi tra le arti da lui sostenuto sin dai tempi del “Cavaliere azzurro”. I dipinti del periodo di Weimar evidenziano singoli elementi come il cerchio, l’angolo e le linee curve e rette, un gusto per una certa disarmonia e per una cromia fredda. Al geometrismo di questi lavori continua ad accompagnarsi una base irrazionale, in cui le scelte espressive sono determinate da un’intuizione spirituale. In mostra, tra gli atri, “Weisses Kreuz”, olio su tela del 1922 della Collezione Peggy Guggenheim, “Rot in Spitzform”, del 1925, dal MART di Rovereto, e “Grün über Rosa”, del 1928, di collezione privata.
Infine l’approdo in Francia. Già nell’ultima fase del Bauhaus a Dessau emerge un Kandinskij più giocoso, connotato da una certa leggerezza. In talune opere appare l’influenza dell’amico e collega Klee. Questa fuga fantasiosa si rivela annunciatrice del successivo periodo parigino, caratterizzato da uno spirito ludico e da un linguaggio biomorfo vicino per alcuni versi a quello surrealista. Fino all’ultimo, nonostante la malattia, Kandinskij non è abbandonato da una felice vena creativa. Tra i prestigiosi prestiti internazionali, per questa sezione conclusiva della mostra, “Le nœud rouge”, olio su tela del 1936, dalla Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence, e “Sans titre” del 1940, dall’Albertina di Vienna.
Radunare ben ottanta opere di Kandinskij (oltre a libri in edizione originale, documenti, fotografie, rari filmati d’epoca, cimeli e oggetti d’arte popolare), commenta il co-curatore Paolo Bolpagni, è stata un’impresa ardita e straordinaria, che consentirà al pubblico italiano di ammirare capolavori unici che segnano tutti i principali snodi della carriera di uno dei massimi artisti del Novecento. Di grande importanza è anche il catalogo realizzato da Silvana Editoriale, nel quale, oltre ai saggi dei curatori Paolo Bolpagni e Evgenia Petrova, sono presenti quelli di Silvia Burini, Andrea Gottdang, Jolanda Nigro Covre e Philippe Sers, una biografia dell’artista di Brigitte Hermann e la riedizione della rara traduzione in italiano dello scritto di Kandinskij “Sguardi sul passato”, dalla versione russa del 1918.
com.unica, 4 febbraio 2022
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