La terza edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia – Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia”

In questo processo, il CNR si potrà misurare nelle azioni previste nel PNRR con un apporto duplice: “Da una parte il CNR, con il proprio respiro multidisciplinare, può direttamente svolgere progetti di R&S. Dall’altro può contribuire al disegno e alla gestione di strumenti di finanziamento, mediando tra governo e comunità dei ricercatori, dalle organizzazioni scientifiche e dalle imprese. Il CNR deve sempre più combinare il fare ricerca e l’azione di agenzia, recuperando quel ruolo centrale che ha già svolto in passato, basti pensare ai Progetti Finalizzati, e che già svolge nel coordinamento di molte infrastrutture europee di ricerca”, dichiara la presidente Carrozza.
Il PNRR colloca la politica della ricerca all’interno di una più vasta trasformazione del sistema economico italiano. “La ricerca pubblica intende ricoprire il ruolo di moltiplicatore in grado di attivare investimenti in ricerca privata e innovazione, finalizzati alla creazione di ecosistemi dove le idee si possano trasformare in nuovi prodotti, processi e servizi, al fine di creare posti di lavoro ad elevato valore aggiunto, agganciando i settori produttivi più dinamici nei mercati internazionali”, proseguono i coordinatori della “Relazione”, Daniele Archibugi, Emanuela Reale e Fabrizio Tuzi. “Gli attori pubblici della ricerca devono quindi assumere un ruolo centrale nel disegno definito nel PNRR in quanto operando sulla frontiera della scienza sono in grado di aprire nuove traiettorie tecnologiche. Questi dovranno dunque essere pronti ad affrontare la sfida attraverso l’ampio ventaglio di azioni, interventi e soluzioni previste all’interno del piano e fare in modo che gli investimenti previsti abbiano concrete ricadute sulla collettività e sul sistema socio-economico nazionale”.

La terza edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia – Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia” è stata presentata oggi presso la sede centrale del Consiglio nazionale delle ricerche, alla presenza tra gli altri del ministro dell’Università e ricerca Maria Cristina Messa. “Anche guardando i dati della Relazione si conferma che come mondo della ricerca dobbiamo superare alcune vecchie logiche” ha commentato il ministro Messa. “Tra queste, l’antitesi fra ricerca di base e applicata: la ricerca deve essere di qualità e finanziata in quanto tale, sia quella guidata da curiosità che quella applicativa, che devono coesistere senza contrapposizioni o trasformarsi l’una nell’altra. Dobbiamo inoltre superare il preconcetto della separazione fra ricerca pubblica e privata, che allontana le imprese con cui gli enti di ricerca hanno sempre attivato collaborazioni, mentre le università hanno conosciuto delle fasi diverse, un gap che va recuperato. L’avere stimolato grandi filiere attraverso i bandi è proprio una risposta in tal senso, senza immettere nuove fondazioni o istituzioni di ricerca, ma facendo rete con quanto di buono c’è già. Dobbiamo capire che se come mondo della ricerca vinciamo questa sfida diventiamo fondamentali per il paese, perché creiamo spin-off, start up, proof of concept, lavoro, opportunità per i giovani. È questa è la vera sfida che abbiamo davanti”.

Complessivamente le risorse destinante alla ricerca e sviluppo previste nel PNRR ammontano a circa 17 miliardi di euro, circa il 7,5% complessivo delle risorse totali. La maggior parte si concentrano su ricerca applicata e sviluppo sperimentale (circa 10 miliardi), ricerca di base (4 miliardi), azioni trasversali e di supporto (1,88 miliardi) e trasferimento tecnologico (380 milioni).

Per quanto riguarda i Programmi Quadro europei, il nostro paese contribuisce al bilancio per la ricerca comunitaria con il 12,5%, ma i finanziamenti che ritornano sono pari a solo l’8,7%. Ciò dipende anche dal fatto che i ricercatori in Italia sono meno che nei nostri partner (6 su mille unità di forza lavoro, contro oltre 10 in Francia e Germania). Bisogna però anche aumentare il tasso di successo, specie nel coordinamento delle proposte, che nel nostro paese è pari all’8,6%, mentre per Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi e Belgio si attesta tra il 14 e il 15%.
– La competizione interna per l’acquisizione di fondi a livello internazionale produce ‘circoli chiusi’ disciplinari e alimenta le disuguaglianze territoriali. Per i progetti nel settore Scienze della Vita, estremamente innovativo e attrattivo, esiste una forte polarizzazione tra Nord e Sud, con una disparità evidente anche in relazione al Pil pro-capite. Considerando le province nella fascia alta come nodi di collaborazioni internazionali, la provincia di Milano è la più ricca ed è al primo posto come Hub di conoscenza, a seguire con notevole distacco Bologna, Roma e Firenze. Le poche province del Mezzogiorno in fascia alta presentano un Pil pro-capite nettamente inferiore rispetto al Centro-Nord, con effetti negativi sul ruolo che possono giocare nello spazio della conoscenza.
– Solo lo 0,5% della popolazione in età lavorativa in Italia ha il dottorato di ricerca, contro l’1,2 della media dell’Unione. Anche gli iscritti al dottorato sono assai meno che nella media dell’UE: lo 0,14% contro lo 0,28%. È necessario aumentare il numero di coloro che conseguono il titolo di dottore di ricerca, circa 10 mila studenti l’anno, con migliori prospettive, per compiere un salto nella specializzazione tecnologica e produttiva verso settori e industrie a più elevato contenuto di conoscenza.
– Il tasso di occupazione dei dottori di ricerca è pari al 93,5%, ma meno della metà ritiene di sfruttare pienamente le conoscenze acquisite nel mercato del lavoro. La quota che trova impiego nel settore privato è inferiore al 10% nell’Industria e dell’8% nelle attività professionali, scientifiche e tecniche. In Italia si trovano raramente dottori di ricerca nel settore industriale.
– Per aumentare lo sbocco professionale dei dottori di ricerca nell’industria, è stata introdotta una nuova tipologia, il Dottorato Industriale, dove il dottorando è guidato da tutor aziendali e accademici e svolge parte del suo percorso in azienda. Per promuovere il Dottorato Industriale, Confindustria e CNR hanno elaborato progetti per borse in cui ricerca e impresa siano protagonisti del processo finalizzato alle esigenze delle imprese. I primi esperimenti sembrano fornire segnali incoraggianti.
– La quota di donne è cresciuta e rappresenta più della metà dei dottori di ricerca. Si riscontra tuttavia una polarizzazione, gli uomini coprono il 60% dei posti nelle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e le donne il 58% nelle altre materie. Si riscontra inoltre un gap salariale pari a circa 312 euro mensili in Italia e 209 all’estero, che esplode nelle scienze mediche, dove gli uomini, dopo 4-6 anni dal conseguimento del titolo, guadagnano addirittura 704 euro in più delle donne.
– Una parte notevole dei nostri studenti svolge il dottorato all’estero. Solamente in Austria, Francia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti ci sono più di 12 mila studenti italiani frequentanti corsi di dottorato. L’Italia ospita studenti da altri paesi in una quota pari al 15,7%, molto inferiore a Paesi Bassi (44,0%), Belgio (41,4), Regno Unito (42,5) e Francia (38,2%). Gli studenti in Italia provengono principalmente da paesi emergenti, i primi tre sono Iran, Cina e India. Molti dottori di ricerca in Italia trovano occupazione all’estero, circa il 13% dopo qualche anno, testimoniando la buona qualità della formazione ricevuta. I settori dove è più forte l’esodo sono proprio le STEM: il 32% nelle Scienze fisiche, il 27% in Scienze matematiche e informatiche, il 19% in Ingegneria industriale e dell’informazione. Non sorprende questa collocazione professionale fuori d’Italia: dopo 6 anni dal conseguimento del titolo, il reddito medio mensile è pari a 1.679 euro in Italia e 2.700 euro all’estero.
– Per quanto riguarda la spesa per R&S in rapporto al PIL, in Italia è in atto una lieve ripresa che porta all’1,4%, dovuta anche al fatto che gli stanziamenti pubblici hanno smesso di ridursi. Anche l’andamento del personale addetto alla R&S (in rapporto a mille unità di forza lavoro) cresce, soprattutto grazie all’incremento del personale nelle imprese che ha raggiunto i 218 mila addetti. Per quanto riguarda la produzione scientifica, si conferma una comunità accademica e della ricerca che risponde alle incertezze istituzionali generando una quantità di pubblicazioni scientifiche (censite dal World of Science) significativa come quota sul totale mondiale, quasi il 5% nonostante il progressivo aumento di quelle provenienti dalla Cina, e con un impatto in aumento. La produzione di brevetti continua ad essere al di sotto di paesi come Germania e Francia (4.600 brevetti italiani depositati all’Ufficio Europeo del Brevetto nel 2020, contro i 25.954 della Germania e i 10.554 della Francia), anche se il rapporto di quelli depositati ogni 100.000 abitanti mostra un miglioramento.

Condividi con