Chi visita Pescocostanzo, uno dei più bei paesi d’Abruzzo, resta meravigliato nel vedere scritto sulla pagina aperta d’un libro, all’ingresso del paese nel monumento a don Ottavio Colecchi, le parole in latino espresse da Kant: “Tu primus Me in Italiam introduxisti” (Tu per primo mi hai introdotto in Italia). Come se il grande filosofo tedesco Immanuel Kant volesse esprimere gratitudine al traduttore e al divulgatore italiano delle sue opere.

Ottavio Colecchi nasce a Pescocostanzo il 18 settembre 1773. Entra nell’Ordine dei Domenicani, diventa insegnante di matematica e di filosofia. Nel 1817-18, in Russia, è precettore dei figli dello zar. Impara il tedesco, soggiornando in Germania e leggendo le opere di Kant, nel testo originale. La sensibilità e la formazione culturale di don Ottavio Colecchi sono particolarmente vicine alla figura e al pensiero di Kant, che proprio verso la fine del secolo XVIII, trovano completa maturazione.

Nel 1781 era uscita la “Critica della Ragion pura”, l’opera con la quale Kant intendeva sottoporre la ragione umana ad un processo, in cui se ne stabilivano i limiti, arrivando alla conclusione che la metafisica non può essere considerata alla pari di una scienza, come la matematica e la fisica. E’ solo un’esigenza, un’aspirazione che troverà la legittimazione nella “Critica della Ragion Pratica”. Anche don Colecchi affronterà il problema della metafisica, pubblicando un’opera sull’argomento. E come Kant, in ambiente protestante, dovette affrontare difficoltà personali per conservare il suo impiego all’Università di Koenigsberg, don Colecchi, in ambiente cattolico, dovette subire dall’istituzione ecclesiastica la punizione canonica della “sospensione a divinis”. Moriva a Napoli il 23 agosto 1847.

Kant si era ispirato a Newton e a Rousseau, tanto che sulla sua tomba sono scritte le stesse parole che concludono la “Critica della Ragion Pratica”: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”. Ed è innegabile che la storia del pensiero occidentale, dal ‘700 ad oggi, sia segnata dal “criticismo kantiano”. Karl Popper ritiene che la vita di Kant sia una “emancipazione attraverso la conoscenza”. Sforzo che Kant propone a tutti, anche se spesso gli uomini preferiscono restare in stato di minorità: «Molti uomini – scrive nella famosa risposta all’interrogativo: “Che cos’è l’illuminismo?” – rimangono volentieri minorenni per l’intera vita; per questo riesce tanto facile agli altri ergersi a loro tutori. E’ tanto comodo essere minorenni! […] Solo pochi sono riusciti, con l’educazione del proprio spirito, a liberarsi dalla minorità e a camminare con passo sicuro.»

Ralf Dahrendorf, uno dei maggiori osservatori critici della società moderna, ritiene che il progetto politico di Kant sia ancora di grande attualità. In particolare, Dahrendorf si riferisce ad uno scritto del 1784, dal titolo “Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”, in cui il filosofo tedesco, prima ancora dell’opuscolo “Per la pace perpetua”, pubblicato nel 1795, espone le sue idee sul cosmopolitismo. “Per chi come me – scrive Dahrendorf – segue Kant e Popper piuttosto che Hegel o Marx, né l’utopia di una qualsivoglia Arcadia né l’incubo dell’autodistruzione dell’umanità è un’utile guida del nostro agire”.

Al di là, quindi, delle utopie ottimistiche (Platone, Moro, Marx) o pessimistiche (Orwell, Huxley), si potrebbe cercare, realisticamente, di raggiungere qualche obiettivo positivo per il benessere dell’umanità. Obiettivo che, secondo Kant, deve consistere, innanzitutto, nella costruzione di una società cosmopolitica, fondata su una Costituzione universale. Mai, come in questo periodo di grave crisi socio-economico-politica, sembra così impellente e improcrastinabile il bisogno di una Costituzione universale. La terra è diventata finalmente la “casa comune”, ma la globalizzazione non può ridursi alla compravendita di uomini e di merci.

E’ urgente che i “potenti”, le grandi istituzioni e le menti più eccelse a livello mondiale si ritrovino uniti per realizzare il Progetto che Kant prefigura come “consolante prospettiva per il futuro… in cui il genere umano si sollevi proprio a quello stato in cui tutti i germi che la natura ha posto in esso siano pienamente sviluppati e la sua destinazione qui sulla Terra possa essere soddisfatta.” Progetto che ha avuto alcuni tentativi di realizzazione come la Società delle Nazioni, la prima organizzazione intergovernativa avente come scopo quello di accrescere il benessere e la qualità della vita degli esseri umani. Il suo principale impegno era quello di prevenire le guerre, sia attraverso la gestione diplomatica dei conflitti sia attraverso il controllo degli armamenti.

Fu fondata nell’ambito della conferenza di pace di Parigi del 1919, formalmente il 28 giugno 1919, con la firma del trattato di Versailles – e fu estinta il 19 aprile 1946 in seguito al fallimento rappresentato dalla seconda guerra mondiale, nel 1945, e la nascita di un’organizzazione con identico scopo, le Nazioni Unite (ONU). Il fallimento rappresentato dalla seconda guerra mondiale fu così grande che si pensò infatti a una nuova organizzazione, anche perché gli Stati Uniti d’America non ne facevano parte, nonostante fosse stato proprio un suo presidente, Woodrow Wilson, ad essere il maggior promotore della Società delle Nazioni (per questo impegno Woodrow Wilson fu insignito del premio Nobel per la pace nel 1919).

Amartya Sen, in un suo libro dal titolo “Globalizzazione e libertà” scrive che il punto più importante della globalizzazione consiste nella costruzione globale. Purtroppo, l’ONU non ha questo come principio fondamentale, ma addirittura “i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle nazioni Unite, oltre ad essere i primi cinque esportatori di armi, sono stati responsabili per l’86% di tutti gli armamenti convenzionali esportati nel periodo preso in esame”. Forse si dava ragione all’affermazione di Popper “Non può esistere una società umana senza conflitto”. Per questo non bisogna ricercare l’unanimità, ma creare istituzioni che accettino i contrasti “senza annullare le libertà fondamentali”, aggiungendo “il nostro sogno del cielo non si può realizzare sulla terra”.

Per Kant, invece, pur essendo consapevole del conflitto, il conflitto domato è la fonte del progresso, l’insocievolezza è costretta da se stessa a disciplinarsi, a sviluppare compiutamente i germi della natura”. Dahrendorf, nel libro “Erasmiani”, sottolinea: “il conflitto regolamentato è fonte del nuovo, e dal fatto che il nuovo venga cercato, provato, trovato temporaneamente buono, poi migliorato con qualcos’altro ed eventualmente anche sostituito, nasce la reale speranza per gli uomini che cercano di aumentare, nell’orizzonte dell’incertezza, le loro chances di vita”

Dopo questi secoli di dibattito e di ricerca, la storia umana continua come sempre, con i suoi aspetti positivi di elevazione umana e gli aspetti di animalità che tende a non scomparire. In questo tempo in cui la parola “Futuro” viene gridata da ogni parte, col rischio della retorica o dell’inflazione, il messaggio di speranza di Kant e di altri filosofi fiduciosi nel progresso, non è svanito nel nulla. L’Homo-Deus resta il più ambizioso e più grande Progetto da realizzare.

Mario Setta*, com.unica 6 marzo 2022

*storico

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