A sedici anni dall’assassinio di Anna Politkovskaja
Il ricordo della giornalista, simbolo della libertà di espressione violata nella Russia di Putin e nel mondo
Sono trascorsi sedici anni esatti da quando la giornalista d’inchiesta e attivista russa per i diritti umani Anna Politkovskaja venne uccisa davanti all’ascensore del palazzo in cui viveva a Mosca, il 7 ottobre 2006. L’emozione suscitata dal suo assassinio contribuì a fare di lei un emblema della libertà di espressione violata in Russia e più in generale nel mondo. Anna incarnava infatti come poche altre quelle qualità che si ritiene debbano far parte del bagaglio esistenziale e professionale di un grande reporter: il coraggio e l’indipendenza. “Certe volte – scrisse – le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare”.
Quando fu assassinata stava per pubblicare un’inchiesta sulle torture commesse dall’esercito che faceva capo al primo ministro della Repubblica di Cecenia Ramzan Kadyrov, fedelissimo alleato di Putin. Ai funerali, che si svolsero il 10 ottobre presso il cimitero Troekurovskij di Mosca, parteciparono più di mille persone – fra cui colleghi e semplici ammiratori della giornalista. Tra questi anche il leader politico radicale Marco Pannella, amico personale di Anna Politkovskaja e unico politico italiano a prendere parte alla cerimonia funebre.
Nata il 30 agosto 1958 a New York, ma cresciuta a Mosca, Anna Politkovskaïa era figlia di due diplomatici ucraini che lavoravano alle Nazioni Unite. Laureata in giornalismo, ha iniziato la sua professione al quotidiano “Izvestia”, uno degli organi ufficiali del regime insieme alla Pravda negli anni della dittatura comunista. Successivamente lavorò per la “Obshchaja Gazeta” e poi al bisettimanale d’inchiesta indipendente “Novaya Gazeta”, a partire dal 1999.
La sua prima missione in Cecenia è del 1998. Nel 2001 venne arrestata nella Cecenia meridionale ed espulsa con l’accusa di aver violato le norme sulla copertura giornalistica del conflitto, imposte da Mosca. Nel 2002, ebbe un ruolo chiave quando fece da intermediaria tra i rapitori ceceni e le forze dell’ordine al teatro Dubrovka di Mosca, dove oltre 700 persone furono prese in ostaggio. Come si ricorderà ci fu poi l’intervento delle forze speciali russe che uccisero tutti i sequestratori, ma anche 90 ostaggi, colpiti da una dose letale di una gas segreto, usato per stordire i guerriglieri all’interno dell’edificio. Nel settembre del 2004, mentre si stava occupando dell’assedio della scuola di Beslan (Ossezia del Nord), dove un gruppo di guerriglieri ceceni prese in ostaggio 1.200 persone, perse conoscenza dopo aver bevuto un tè sull’aereo per il Caucaso, probabilmente a causa di un avvelenamento da parte del FSB.
Il filosofo francese André Glucksmann, dalle pagine del Corriere della Sera, qualche giorno dopo l’assassinio scrisse un toccante elogio funebre dell’amica giornalista: “Anna Politkovskaja era una creatura rara, con un coraggio fisico e morale da lasciare a bocca aperta. E, come tutti gli eroi, aveva una modestia e un umorismo sorprendenti. […] Anna Politkovskaja è morta inutilmente? Lei ha suonato le campane a martello, affinché il mondo democratico sapesse e reagisse. […] Morta per niente? Morta per noi. Noi occidentali, che non l’abbiamo saputa leggere, né proteggere. Questo niente, per cui lei ha dato la vita, siamo noi. Sensibile al dolore degli oppressi, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco indomabile.”
L’articolo di Glucksmann era un pesantissimo ‘j’accuse’ nei confronti non solo di Putin, ma anche del leader francese Jacques Chirac e di quello tedesco Gerhard Schröder, ritenuti troppo indulgenti nei confronti del capo del Cremlino: “I leader che, in Europa occidentale, fanno il bello e il cattivo tempo, hanno prestato il fianco alla sfrontatezza di Vladimir Vladimirovich. Questo ex ufficiale della Gestapo sovietica (il Kgb) si pavoneggia nei fronzoli di un «democratico puro», come l’ha definito Gerhard Schroeder (ex Cancelliere tedesco e neo-assunto alla Gazprom), il quale gli ha giurato un’amicizia eterna (pagata in contanti). Quanto al presidente francese, non sembra minimamente pentito di avere appuntato la più alta onorificenza della République sul petto d’un Putin. Nessuno dei due, nessuno dei loro simili, ha mai messo il naso negli scritti di Anna Politkovskaja, tanto è il terrore di scoprire le verità pestilenziali che ha pagato con la propria vita.”
A 16 anni dall’assassinio (sul quale ancora non è stata fatta luce sui veri mandanti) non si può certo affermare che il clima intorno ai difensori dei diritti umani in Russia sia migliorato. Al contrario si è allungata la lista delle personalità assassinate, mentre le voci libere ancora rimaste vengono criminalizzate e fatte passare dalla propaganda del regime come nemici interni. Come nel caso dell’attivista politico e oppositore di Putin, Alexey Navalny, avvelenato due anni fa mentre si trovava a bordo dell’aereo S7 Airlines in volo da Tomsk a Mosca e ancora oggi detenuto in un carcere della capitale russa.
Purtroppo oggi c’è chi in Occidente (sia nel campo dell’estrema destra sia dell’estrema sinistra) continua a guardare ancora con eccessiva condiscendenza alla Russia di Putin. A tale riguardo sarà bene ricordare le parole di un fiero oppositore di Putin come l’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, che in una recente intervista ha invitato a non farsi trarre in inganno dalla propaganda del regime, molto attiva anche fuori dai confini nazionali, con numerose e inquietanti ramificazioni: “Resto assolutamente sconvolto quando vi sento dire che un dittatore a vita in materia di politica estera ‘non è male’ – ha affermato. “Non riesco a capire come uno che ha ucciso migliaia di persone e fatto bombardare ospedali e scuole possa essere considerato ‘un male minore’. La considero una idiozia morale. Da questo punto di vista gli occidentali si rivelano non solo ignoranti ma anche arroganti. Ignoranza e arroganza sono i due vizi che affliggono oggi questa Europa alle prese con il problema della sicurezza”.
Sebastiano Catte, com.unica 8 ottobre 2022