È necessario riformare l’ordine liberale multilaterale anziché dare per scontata la sua crisi e quindi la sua involuzione

Vladimir Putin invadendo l’Ucraina il 24 febbraio del 2022, senza una apparente ragione, ha messo in discussione l’equilibrio che era nato alla fine della Guerra Fredda e accelerato processi di cambiamento già in atto da tempo.

La globalizzazione, mettendo in crisi l’appartenenza ideologica e quella nazionale, aveva creato in Occidente un grande vuoto identitario e a reagire con difficoltà era stato il mondo politico, perché il tema politico dell’identità è sempre stato percepito come pericoloso in quanto contrasta e, non solo in apparenza, con la tensione universalistica tipica del pensiero democratico, quella che è stata assorbita dalle nostre istituzioni e dal nostro stesso pensare.

Il fattore identitario contraddice questa spinta universalistica tipica della democrazia, come dimostra l’emergere rapido e prepotente, in Europa, di spinte nazionaliste dure a morire. Ogni Paese pensa prima di tutto a se stesso, a cominciare dal presidente francese Emmanuel Macron che invita l’UE ad avere una sua autonomia strategica, ma poi si guarda bene dal trasformare il seggio francese al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in seggio dell’UE.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz riconosce che, di fronte all’aggressione di Putin, il mondo è “di fronte ad uno spostamento tettonico epocale“ ma poi decide per il riarmo del proprio Paese, sovrapponendolo a quello “in fieri” della Comunità Europea, e mobilita 200 miliardi di euro in aiuto alle proprie imprese, con il risultato di demolire il mercato unico europeo. Mercato unico europeo che avrebbe, invece, bisogno di autonomia finanziaria per promuovere la produzione di beni pubblici, come l’innovazione e la difesa.

È l’ordine europeo sovranazionale che va riformato, per evitare il rischio di involuzione del sistema e il ritorno alla logica dei nazionalismi che non conviene più a nessuno.

La globalizzazione ha permesso alla Cina di liberare milioni di cittadini dalla fame, dall’indigenza e dalla povertà, anche se sacche sono ancora presenti in alcune regioni del Paese, ma tutto ciò è avvenuto contravvenendo alle regole del mercato mondiale. Altrettanto sta facendo l’America per ridurre gli effetti negativi della globalizzazione al proprio interno. Miliardi di dollari sono stati elargiti a sostegno di quelle imprese che operano sul territorio americano, per la loro riconversione tecnologica.

Il confronto tra Cina e America è la nuova linea divisiva internazionale e obbliga gli altri Paesi a stare da una parte o dall’altra. Ma la Cina non è una superpotenza, se ancora i morti si contano a centinaia di migliaia, se non addirittura di milioni, per l’inefficacia dei vaccini anti-Covid.

A sua volta l’America, che super potenza lo è da tempo, vive una profonda crisi istituzionale, a causa dell’estremismo del Partito Repubblicano che è riuscito, solo dopo 15 votazioni, ad avere il proprio Speaker alla Camera dei rappresentanti.

È un mondo deglobalizzato, privo di un ordine, quello in cui viviamo; è necessario per questo riformare l’ordine liberale multilaterale anziché dare per scontato la sua crisi e quindi la sua involuzione.

Se sul piano politico, le ambizioni imperialiste di Putin hanno accelerato i processi di cambiamento già in corso, la deglobalizzazione nel mondo e la rinazionalizzazione, in Europa, non si debbono considerare come l’esito inevitabile di un processo involutivo e di frattura, difficilmente ricomponibile, a condizione, però, che le democrazie si adoperino con intelligenza e sapienza a ricomporre questo momento di crisi e di rottura.

Angela Casilli, com.unica 10 gennaio 2022

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