Il terziario principale traino dell’occupazione dopo la pandemia, uno studio di Confcommercio
Degli oltre diciassette milioni di occupati regolari registrati a giugno 2022, sono più di undici milioni quelli attivi nel terziario di mercato, per una quota pari al 64,5%. Parte da questo dato “Terziario e lavoro”, l’osservatorio lavoro sul terziario di mercato realizzato dall’Ufficio Studi di Confcommercio e presentato nei giorni scorsi in occasione della ventiduesima edizione del Forum “I protagonisti del mercato e gli scenari per gli anni 2000”, per il secondo anno consecutivo nello scenario di Villa Miami a Roma.
E se rispetto a due anni prima la crescita dell’occupazione assoluta è stata di quasi due milioni di unità, più dei tre quarti (il 76,4% per la precisione) appartiene allo stesso terziario di mercato.
Il rovescio della medaglia viene dal confronto con i risultati del 2019: se l’occupazione totale non ha completamente recuperato i livelli pre pandemici (in termini di unità di lavoro a tempo pieno siamo a quasi 23 milioni e 900mila lavoratori rispetto a poco più 24 milioni e 100mila), il deficit è attribuibile in esclusiva proprio al terziario di mercato (-2,8%). In più, la pandemia ha colpito pesantemente le piccole unità produttive e il lavoro autonomo: a fronte della crescita di quasi 1,4 milioni dei lavoratori dipendenti nel terziario di mercato tra il 2020 e il 2022, il numero di lavoratori indipendenti nelle attività terziarie è infatti risultato inferiore di quasi 27mila unità, un calo che si registra in particolare nelle professioni e nei trasporti.
Passando al numero di dipendenti per impresa, il rapporto dell’Ufficio Studi evidenzia che nel terziario è pari a 8,8 (era 8,2 nel 2020, +7,5%) contro gli 11,4 del resto dell’economia.
In fondo alla “classifica” troviamo il piccolo commercio alimentare con 3,3 dipendenti per impresa, in testa l’aggregato “Altri trasporti e logistica” con 30,4. Al netto delle attività stagionali, si scopre poi che nel 2022 il 70,2% degli occupati nel terziario di mercato aveva un contratto a tempo indeterminato contro il 73,7% del complesso dell’economia. Un numero che “restituisce, contro diffusi pregiudizi, la dimensione della qualità del lavoro nei servizi, a prescindere dalla remunerazione”. Basti pensare che nelle attività stagionali caratterizzate da fermo produttivo per diversi mesi l’anno, il 44% dei contratti è, comunque, a tempo indeterminato.
Se il terziario è stato il principale traino del recupero dell’occupazione dopo la pandemia, il Rapporto sottolinea poi che il 53% di questo aumento si deve alle donne, nove su dieci delle quali assunte tra il 2020 e il 2022 lavora nei servizi. Non è un caso che la quota di occupazione dipendente femminile nel terziario di mercato sia pari al 50,8% mentre nelle altre attività economiche sia ferma al 27%.
Un problema impellente è invece la mancanza di manodopera, soprattutto nei settori legati al turismo. Se nel 2023 si osservasse una crescita delle presenze del 15,3% rispetto al 2019 (oltre 500 milioni, più di 60 milioni in più sul 2019), l’Ufficio Studi stima infatti che occorrerebbero 280mila nuovi lavoratori nei soli settori dell’alloggio e ristorazione rispetto allo scorso anno.
Infine, le stime macroeconomiche annunciate dal direttore Mariano Bella indicano per quest’anno un aumento del Pil dello 0,9% e dell’1,2% nel 2024, mentre i consumi dei residenti sono visti in aumento dello 0,5% nel 2023 e dello 0,7% l’anno prossimo.
com.unica, 23 aprile 2023