Felice Vinci: i Campi Elisi in Polinesia
L’intervento a firma congiunta Felice Vinci e Arduino Maiuri pubblicato dalla prestigiosa testata greca Academic Journals
In questo articolo passeremo dapprima in rassegna vari indizi, di diversa natura, che sembrano attestare la realtà di antichi contatti tra le culture del Vecchio Continente e quelle polinesiane, su cui è disponibile un’ampia letteratura, basata sulle testimonianze sia di esploratori, a partire dalla fine del XVI secolo, sia di etnologi che hanno raccolto una grande quantità di testimonianze su miti, leggende, costumi e folklore delle culture indigene nei vari arcipelaghi disseminati nell’immensità dell’Oceano Pacifico. Successivamente cercheremo di mettere in luce alcuni sorprendenti indizi che i mitici Campi Elisi siano in realtà localizzabili in un’isola ben precisa della Polinesia, utilizzando una metodologia consistente in un nuovo esame critico delle fonti classiche ed in particolare delle testimonianze contenute nelle opere di autori quali Omero, Esiodo e Pindaro.
Per prima cosa va osservato che nelle isole della Polinesia si trovano sparsi impressionanti resti megalitici, di cui spesso sorprendono, oltre che le dimensioni, anche le affinità con monumenti simili sparsi in altre parti del mondo: pensiamo ad esempio alle enormi costruzioni, realizzate con grandi blocchi di basalto, di Nan Madol nelle isole Caroline, dove l’area archeologica si estende per 18 km² su un centinaio di isolotti artificiali collegati fra loro da una fitta rete di canali. Ma, oltre ai famosi moai dell’Isola di Pasqua, tra i monumenti che più colpiscono vi è l’imponente trilite di Tonga (Fig. 1), che è stato addirittura paragonato a Stonehenge.
Sorprende anche il resoconto di uno dei primi incontri di Europei con Polinesiani, avvenuto nel 1595 in una delle isole Marchesi, allorché apparvero “circa quattrocento Indiani dalla pelle pressoché bianca e di bella statura, grandi, robusti e forti (…) Molti di loro sono biondi”1. E di queste caratteristiche “europee” di nativi polinesiani abbiamo conferma nelle note del francese Louis-Antoine de Bougainville allorché nel 1768 sbarcò a Tahiti: “Uomini alti sei piedi e anche di più. Non ho mai incontrato uomini così ben fatti e proporzionati (…) Nulla distingue i loro tratti da quelli degli europei”2. Ciò è in linea col fatto che, secondo l’Enciclopedia Treccani, “fra i Marchesani fu constatato il 7,2% fra gli uomini ed il 9,5% fra le donne di occhi azzurri”3.
Ai resti megalitici e alle fattezze delle persone si aggiungono miti, storie, usanze e strutture sociali: in Polinesia si ritrovano i miti del Diluvio e della Torre di Babele, ma colpisce anche il nome degli Ari’i (Ali’i in alcuni dialetti), i nobili4, considerati discendenti degli dei polinesiani. Ma anche il kavu, il “prete”5, è quasi omonimo del koes (kaves in lingua lidia), il sacerdote greco dei riti kabirici6 (nome accostabile anche al cohen ebraico e al godhi norreno).
Inoltre il nome della danza polinesiana chiamata hula, o hura, ricorda da vicino il greco choros, “danza” (d’altronde a Tahiti il nome della danza tipica è ‘Ori Tahiti, identico a choros). Ma è strabiliante che la hula sia accompagnata da canti chiamati mele: infatti questo termine è identico al greco melos, “canto, canzone” (da cui “melodia”). Così pure, la nota formula di saluto aloha è molto simile al nordico alu e al latino vale. Ma si possono fare molti altri esempi, tra cui quello di Hina, dea polinesiana legata al mare e alla luna, che sotto molti aspetti corrisponde a Ino, la dea marina che nell’Odissea salva Ulisse da una tempesta. E che dire delle Holua, tradizionali gare di discesa per i pendii delle colline su slitte di legno, chiaro retaggio di un’epoca in cui gli antenati dei Polinesiani abitavano in regioni in cui vi erano lunghi pendii innevati?
Notiamo anche che il dio polinesiano dell’agricoltura, della fertilità e della pace, ma anche guerriero, a seconda dei dialetti era chiamato Lono, Rono o Rongo, figlio di Vatea, il padre cielo, e di Papa, la madre terra. La sua figura corrisponde a quella di Saturno, il dio che secondo il mito introdusse l’agricoltura nel Lazio primitivo e fu il re della pacifica età dell’oro; però a lui erano anche collegati i combattimenti dei gladiatori e perfino sacrifici umani. Ma Saturno corrisponde al greco Crono, che aveva anch’egli un’originaria dimensione agricola ed era figlio del cielo (il dio Urano) e della terra (Gea), proprio come Rono! È importante anche l’aspetto oceanico di Crono, a cui era intestato il Mar Cronio, ossia l’Atlantico settentrionale; inoltre Crono fu relegato da Zeus “ai confini del mondo”, e qui c’è da chiedersi se sia casuale l’assonanza tra Crono e Rono-Rongo.
Queste convergenze sembrano confermare l’esistenza di una civiltà globale preistorica, attestata dal dettagliatissimo racconto di Platone sull’isola Atlantide, di cui si riscontrano innumerevoli tracce – miti, leggende e megaliti, sparsi per tutto il mondo e molto simili tra loro7 – a partire dal famoso mito dell’isola Atlantide, che secondo Platone era stato custodito dagli Egizi e poi rivelato a un suo antenato.
Ciò corrisponde all’iscrizione su una stele dedicata a Osiride: “Mio padre è Crono, il più giovane di tutti gli dei, e io sono il re Osiride, che ha fatto spedizioni percorrendo tutta la terra (…) Non vi è luogo del mondo abitato dove io non sia arrivato” (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica I, 27). Questa potrebbe essere l’ultima memoria di fatti riconducibili ad un’epoca, anteriore alla civiltà egizia, corrispondente all’età megalitica. D’altronde un recente studio sul megalitismo europeo attesta l’esistenza “di una avanzata tecnologia marittima e della navigazione nell’età megalitica”8. Essa fu favorita da un clima più caldo di quello attuale: ci riferiamo all’“optimum climatico post-glaciale”, tra il VI e il III millennio a.C., allorché il Mare Artico era diventato navigabile durante l’estate, consentendo alle navi di quell’epoca di attraversare gli oceani e soprattutto di spostarsi facilmente tra l’Atlantico e il Pacifico attraverso una rotta polare, senza dover doppiare il Capo Horn.
Osserviamo ora che tra i monumenti tipici del mondo polinesiano vi sono i marae o malae, luoghi sacri in uno spazio aperto davanti al mare, con una piattaforma rettangolare lastricata in pietra e un perimetro segnato da pietre più alte, mentre al centro o su un lato si trovava una pietra eretta, considerata anch’essa sacra. Qui si svolgevano gli antichi culti della società polinesiana precedente all’arrivo degli Europei, associati a cerimonie religiose, sociali e politiche: riunioni, intronizzazione dei capi, accoglienza degli ospiti, riti e pasti rituali.
Ora, tutte queste caratteristiche dei marae rispecchiano la descrizione del luogo di raduno dove i Feaci, i “famosi navigatori” dell’Odissea, si riunivano in assemblea: “Hanno la piazza intorno a un bell’altare di Poseidone, pavimentata con blocchi di pietra” (Od. VI, 266-267). Inoltre la riunione dei Feaci per festeggiare l’arrivo di Ulisse “si fece presso le navi; arrivarono e sedettero sulle lucide pietre” (VIII, 5-6). Nel corso di questa assemblea, che per l’appunto ebbe luogo accanto al mare (“presso le navi”), si svolse una danza di giovani (VIII, 262), accompagnata dal canto dell’aedo con la cetra. Ma ancora adesso i Polinesiani eseguono le loro danze tradizionali durante la cerimonia di accoglienza che si svolge nei marae e che tuttora accompagnano con danze, canti (i mele di cui sopra) e discorsi forbiti, esattamente come i Feaci omerici fecero con Ulisse.
Esaminiamo adesso la figura di Longapoa, un mitico navigatore polinesiano le cui avventure per tornare nella sua isola “ricordano stranamente quelle di Ulisse”9: vi troviamo “il grande abisso alla fine del mondo”10 che inghiotte le barche (corrispondente a Cariddi, ma che non ha senso nel contesto polinesiano, mentre la descrizione dell’Odissea corrisponde al Maelstrom, il famigerato gorgo che la marea dell’Atlantico periodicamente innesca davanti alle isole Lofoten11), il mostro “tanto grande da pescare balene e squali” (la Scilla omerica), l’arrivo alla casa di Sinilau (Calipso), le lacrime del naufrago che anela di tornare nella sua isola senza avere una barca, perfino il panno di tapa (un tradizionale tessuto polinesiano prodotto dalla corteccia di certi alberi, alla cui lavorazione era preposta la dea Hina) che va restituito al mare e che ricorda il velo di Ino (la quale è identica a Hina, come abbiamo visto poco fa). Per inciso, il nome della tapa si ritrova in Omero (tapēs), in latino (tapetum), in italiano (tappeto), in tedesco (Teppich) e in norvegese (teppe).
Non meno sorprendente è il fatto che tra le leggende concernenti Hina ve ne sia una, in cui lei ha il nome di “Hina di Hilo”, che la ricorda come una sorta di Elena di Troia, rapita al legittimo marito da un suo spasimante, con il conseguente scoppio di una guerra che presenta tali convergenze con le vicende dell’Iliade da essere stata pubblicata dal re hawaiano Kalakaua con il titolo di “Hina, la Elena delle Hawaii”. Entrando nei dettagli, Hina di Hilo era la donna più bella delle Hawaii, sposata con un potente re, che fu rapita dal figlio di un altro re, arrivato con una canoa, che la portò con sé in una fortezza: ciò suscitò una guerra, gli assalitori che volevano riprendersela a tutti i costi arrivarono con una flotta di 1200 imbarcazioni, occupando per varie miglia la spiaggia con le barche e le tende, finché dopo molte sanguinose vicende la fortezza venne espugnata e la regina fu riportata a casa, a Hilo, da dove mancava da quasi diciotto anni12.
I paralleli con le vicende della guerra di Troia sono stupefacenti, perfino nell’accenno a quei “quasi diciotto anni”. Infatti, stando all’Odissea, Elena e Menelao tornarono a Sparta solo “nell’ottavo anno” (Od. IV, 82) dopo la fine della guerra!
Dà anche motivi di riflessione il fatto che il nome greco delle “isole dei Beati”, Makarōn nēsoi, usato da Esiodo in poi, è pressoché identico a Makali’i, il nome con cui sono chiamate le Pleiadi nelle isole Hawaii (dove sono fondamentali nella misura del tempo, esattamente come lo erano nell’antica Mesopotamia). Infatti, considerando che nei dialetti polinesiani le consonanti liquide, L e R, sono spesso intercambiabili, Makali’i appare quasi identico al greco makaroi (“i Beati”), che è il caso nominativo plurale di Makarōn.
Ma ora prendiamo in esame un passo di Esiodo, il quale, subito dopo aver nominato gli eroi caduti combattendo a Troia, afferma che “agli altri il padre Zeus, figlio di Crono, diede una vita e una dimora in disparte dagli uomini, e li fece abitare ai confini della terra. Essi vivono senza dolore nelle Isole dei Beati sulle rive dell’oceano, quegli eroi felici a cui la terra feconda di grano dà frutti dolci come il miele che maturano tre volte l’anno, lontano dagli dei immortali, e Crono regna su di loro” (Le opere e i giorni 166-170).
Crono si trova “ai confini del mondo” anche per Omero (Il. VIII, 478 e XIV, 200), che poi nell’Odissea riporta una profezia fatta a Menelao: “Non è tuo destino morire ad Argo (…) ma gli Immortali ti condurranno nella pianura Elisia (Ēlysion pedion, ossia i “Campi Elisi”) ai confini del mondo, dove si trova il biondo Radamanto e per gli uomini la vita è molto più facile: non vi è mai neve, né inverno, né tempesta, ma l’oceano manda sempre le folate di Zefiro che soffia sonoro per rinfrescare gli uomini” (Od. IV, 561-569). Insomma i mitici Campi Elisi, il paradiso pagano riservato alle anime dei giusti dopo la morte, si trovavano “ai confini del mondo”, nelle Isole dei Beati, che nel corso dei secoli si è cercato invano di identificare.
Per inciso, il nome di Radamanto, Rhadamanthys in greco, corrisponde al termine islandese ráðamanður, “capo”, “persona eminente”, e al danese rådmand, “consigliere”, che ben si addice all’immagine di un giudice dell’aldilà, quale viene delineato da Platone nell’Apologia di Socrate e nel Gorgia. Va osservato che questo nome nordico, attribuito a un personaggio della mitologia greca citato da Omero, sembrerebbe riferirsi a un contesto estremamente arcaico, precedente alla discesa degli antenati degli Elleni nel Mediterraneo13.
Tornando ai Campi Elisi, notiamo subito che in questo quadro apparentemente idealizzato della pianura dove si trova il “biondo Radamanto” compare quel vento fresco “che soffia sonoro”: è una nota molto concreta e realistica, che sembra voler indicare un luogo preciso sulla Terra, non certo nell’aldilà. A questo punto, considerando che il racconto delle vicende di Elena e Menelao si ritrova nelle Hawaii, cercheremo di verificare se la pianura Elisia non sia da ricercare in quelle isole, in cui regna Rono-Crono e il clima è tra quelli che offrono le condizioni più piacevoli per l’uomo.
In effetti, il clima delle isole Hawaii è caratterizzato dall’aliseo di nord-est, proveniente dalle fredde regioni settentrionali del Nordamerica: esso si avverte come una brezza piacevolissima, frizzante e rinfrescante, che soffia per gran parte dell’anno e soprattutto d’estate.
Inoltre esso porta pioggia sui versanti sopravvento delle isole, proprio come lo Zefiro omerico, che è anch’esso “sempre apportatore di pioggia” (Od. XIV, 458). Ora, una nave a vela, spinta da quel fresco aliseo, il primo porto che incontra navigando dal Nord America è proprio la baia di Hilo nell’isola Hawaii, quella dove la “Elena di Hilo” ritornò dopo 18 anni14! Che si trovasse qui la pianura Elisia “ai confini del mondo”, dove Menelao era destinato ad andare?
La conferma ce la dà Pindaro, secondo cui Crono regna con Radamanto là “dove le brezze dell’oceano spirano intorno all’Isola dei Beati, e da alberi bellissimi risplendono fiori d’oro” (II Olimpica 70-73): infatti quei “fiori d’oro” che sbocciano sugli alberi non possono che alludere all’ibisco hawaiano, un arbusto che produce un fiore grande e bellissimo, con un diametro di 10-15 centimetri e uno splendido colore giallo dorato, dal 1988 considerato ufficialmente “il Fiore di Stato delle Hawaii” (Fig. 2).
Conosciuto anche come Pua Aloalo nel dialetto hawaiano, l’ibisco giallo è originario delle Hawaii. Questi bellissimi fiori possono trovarsi in grappoli oppure crescere singolarmente sui rami di arbusti che arrivano fino a 15 piedi di altezza.
Inoltre nei versi successivi Pindaro sottolinea che quei fiori d’oro sono “per coloro che intrecciano le mani con ghirlande e corone seguendo i giusti consigli di Radamanto”, regalandoci così un’immagine meravigliosamente “hawaiana”, nella quale Radamanto ci appare addirittura in veste di maestro di danze…
D’altronde nel folklore hawaiano compare Ku–ka–ohia–Laka, il dio protettore della danza hula e della costruzione delle canoe; esso è associato all’albero ohia lehua, i cui fiori sono usati per le decorazioni sugli altari durante le cerimonie. Laka è anche il nome della dea della hula, e di lei si dice che produca i movimenti delle danzatrici (per quanto riguarda il nome Laka, in alcuni dialetti polinesiani si trova anche come Lata o Rata, che sembra essere paragonabile alla radice del nome di Radamanto). A questo punto proponiamo di aggiungere Radamanto al nome scientifico dell’ibisco giallo hawaiano: l’esito naturale di tale accostamento è Hibiscus brackenridgei rhadamanthi.
Tutto ciò sembra confermare l’identificazione dell’Isola dei Beati con l’isola Hawaii (su cui regna Rono, ossia Crono “ai confini del mondo”) e dei Campi Elisi con la pianura di Hilo.
Ma quest’ultima potrebbe corrispondere anche ai Campi dei Giunchi (Sekhet Ialu o Aaru), il paradiso egizio dove regna Osiride dopo aver soppiantato Anubi, e dove giungono le anime dei defunti che hanno superato la prova della “pesatura del cuore”, dopo aver affrontato un viaggio per nave lungo e rischioso.
D’altronde due delle più importanti divinità polinesiane, Horo e Raa (il dio del sole), hanno nomi identici agli dei egizi Horus e Ra. Non solo: “In Polinesia si praticava, in taluni casi, la mummificazione”15. Né meno sorprendente è il fatto che il calendario polinesiano, basato su 12 mesi di 30 giorni più 5 giorni aggiuntivi16, sia identico a quello egizio. E che dire del fatto che i Polinesiani chiamavano l’anima dell’uomo e lo spirito degli antenati ko e bao17, identici al ka e al ba degli antichi Egizi?
Sempre riguardo ai Campi di Giunchi degli Egizi, si può notare che i boschi dell’isola Hawaii, favoriti dal suolo vulcanico e dal clima perennemente mite, sono ricchissimi di vegetazione di ogni tipo, tra cui la canna gigante (Arundo donax), che cresce fino a 10 cm al giorno, raggiungendo un’altezza di diversi metri, e prospera nelle zone costiere, nelle zone umide, lungo ruscelli, fossi e fiumi, formando anche boschetti impenetrabili; ma vi sono anche altre varietà di canne, come il bambù (e, per una singolare coincidenza, proprio nei pressi della baia di Hilo vi è una località particolarmente amena, chiamata Reed’s Island, “Isola delle Canne”, dove secondo una leggenda gli antichi Ari’i avevano il loro parco giochi e sarebbe vissuto un re locale).
In conclusione, dopo aver verificato l’importanza del megalitismo in Polinesia e la presenza di uomini dall’aspetto europeo (già attestati dai primi esploratori) – per non parlare delle suggestive analogie di folklore, tradizioni, costumi, miti, leggende, aspetti della cultura locale, divinità con circostanze e situazioni simili, se non identiche, nel mondo classico e nei poemi omerici – quanto emerso sul personaggio di Radamanto e del dio Crono (che, oltre ad avere molte caratteristiche in comune con il polinesiano Rono-Lono-Rongo, nella mitologia ha una dimensione oceanica ed è spesso collegato ai “confini del mondo” e alle Isole dei Beati) sembra indicare che queste isole possano essere identificate nel mondo polinesiano e precisamente nell’arcipelago delle Hawaii.
In effetti, i Campi Elisi sembrano corrispondere alla bellissima pianura che si estende intorno alla Baia di Hilo (Fig. 3) nell’isola Hawaii, rinfrescata dai tipici alisei di questi luoghi e impreziosita dai fiori dorati dell’ibisco hawaiano, che ancora adesso adornano i capelli delle discendenti delle fanciulle che anticamente “intrecciavano le mani con ghirlande e corone seguendo i giusti consigli di Radamanto”. È altresì evidente che questo affascinante argomento richiede ulteriori sviluppi, ricerche e approfondimenti da parte di altri studiosi.
In ogni caso, è in Polinesia che a distanza di tanti secoli ci sembra di aver ritrovato il biondo Radamanto, ormai forse un po’ ingrigito, nella sua ventosa isola “ai confini del mondo”.
www.athensjournals.gr/mediterranean/2023-5241-AJMS-Vinci-03.pdf)
com.unica, 2 maggio 2023
1Surdich F., Verso i Mari del Sud, Roma 2015, p. 50.
2Surdich F., op. cit., p. 171.
3Enc. Treccani, voce “Polinesiani, Antropologia“
4Guiart J., Les réligions de l’Océanie, Paris 1962, p. 145.
5Guiart, op. cit., p. 46.
6Kerényi K., Miti e misteri, Torino 1979, p. 161.
7Questo è l’argomento del libro I misteri della civilta megalitica (LEG, Gorizia 2020) di Felice Vinci.
8Cfr. Schulz Paulsson, B., 2019, “Radiocarbon dates and Bayesian modeling support maritime diffusion model for megaliths in Europe”, in PNAS, 26.02.2019, vol. 116/9/3465, 2019.
9Treccani, voce “Maleopolinesiache, lingue”
10Cfr. Gifford E.W., Tongan Myths and Tales, Honolulu 1924.
11Cfr. Vinci F., I segreti di Omero nel Baltico, Gorizia 2021, p. 166.
12Kalakaua, The Legends and Myths of Hawaii, New York 1888, p. 14.
13L’ipotesi che l’originario mondo omerico sia da collocarsi nel Nord Europa (il che spiegherebbe subito le innumerevoli contraddizioni, geografiche e non, da sempre riscontrate nei poemi omerici) è stata oggetto di vari convegni scientifici ed è sviluppata nel libro I segreti di Omero nel Baltico (LEG, Gorizia 2021) di Felice Vinci.
14Kalakaua, op. cit., p. 67.
15Guiart, op. cit., p. 13.
16Kalakaua op. cit., pp. 156-157.
17Guiart, op. cit., pp. 80-81.