Intervista allo scrittore americano di origine ebraica, in Italia per ricevere il premio speciale Lattes Grinzane 2023 (La Stampa)

In un’intervista concessa a Roberto Fiori e Daniela Scanavino per “La Stampa”, lo scrittore newyorkese di origine ebraica Jonathan Safran Foer ha fatto sentire la sua voce su quanto sta accadendo in questi giorni in Israele. Safran Foer ieri era ad Alba, nelle Langhe, per ricevere il premio speciale Lattes Grinzane 2023 e tenere una lectio magistralis di fronte al pubblico che ha amato i suoi libri, pubblicati in Italia da Guanda.

“Provo tristezza, rabbia, solitudine – esordisce Safran Foer. Non mi sarei mai aspettato nulla del genere. Un amico in Israele mi aveva confidato: ‘Ogni volta che la situazione è così tranquilla, io divento nervoso’. Ed è successo anche stavolta, nessuno poteva davvero prevedere quanto stava per succedere. Nelle mie conversazioni con amici ebrei, ma anche non ebrei, con persone che hanno famiglia a Gaza, mi rendo conto che anche le persone più acute sono rimaste senza parole. C’è qualcosa che paralizza: la tristezza, la sensazione che peggiorerà prima di migliorare o che non migliorerà affatto. Quindi mi sento sopraffatto dalla solitudine e molti ebrei si sentono come me, abbandonati, specialmente dalla sinistra.”

Inevitabile nell’intervista il riferimento all’11 settembre, a cui lo scrittore americano ha dedicato uno dei suoi romanzi più belli: Molto forte incredibilmente vicino.

“Capisco l’analogia c’è qualcosa di utile in questo, è un modo di leggere quanto sta succedendo – dice. A dispetto di quel che pensa la gente, pochissime persone capiscono cosa stia accadendo in Medio Oriente, è una storia complessa. Non sappiamo nemmeno quando la storia abbia avuto inizio: possiamo andare indietro fino ai primi documenti religiosi, o fino al 1948 con la fondazione di Israele, o alla guerra dei Sei Giorni del 1967. In base a dove scegli il punto di partenza, scegli anche dove sta la giustizia. Poiché è così complesso, un’analogia con l’11 settembre può essere utile: il numero di persone massacrate è equivalente a quelle uccise a New York. Ma se a New York si è trattato di un piccolo gruppo di terroristi arrivati dall’altra parte del mondo, ciò che ha distrutto il senso di sicurezza in Israele è stato qualcosa di ancora più ampio e violento”.

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Qui il link per leggere l’intervista completa su “La Stampa

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