Simon Sebag Montefiore: “La narrativa della decolonizzazione è falsa e pericolosa”
Secondo lo storico inglese l’ideologia dei manifestanti antiebraici di oggi si basa su un mix tossico di propaganda marxista e antisemitismo tradizionale del Medioevo e del XIX secolo
“L’attacco di Hamas somiglia a un’incursione mongola medievale finalizzata al massacro e ai trofei umani. Eppure, dal 7 ottobre, accademici occidentali hanno negato o addirittura celebrato gli omicidi da parte di una setta terroristica che ha un programma di genocidio antiebraico”. Sono parole dello storico britannico Simon Sebag Montefiore che in un lungo articolo pubblicato dalla rivista americana “Atlantic” smonta pezzo per pezzo la narrativa della cosiddetta “decolonizzazione”.
“Come possono le persone istruite giustificare e abbracciare tale disumanità?”, si chiede Montefiore, autore del saggio bestseller Gerusalemme. Biografia di una città (Mondadori). “Gran parte delle giustificazioni per l’uccisione di civili si basano su un’ideologia alla moda, la ‘decolonizzazione’. Mi sono sempre interrogato sugli intellettuali di sinistra che sostenevano Stalin, e su quei simpatizzanti aristocratici e attivisti pacifisti che arrivavano a trovare degli alibi per Hitler. Gli apologeti di Hamas e i negatori delle atrocità di oggi appartengono alla stessa tradizione ma lo fanno in modo ancora peggiore: hanno abbondanti prove del massacro di anziani, adolescenti e bambini, ma a differenza di quelli degli anni ’30, che lentamente sono arrivati alla verità, non hanno cambiato minimamente le loro opinioni”.
Secondo questa narrativa Israele va considerata come una forza “imperialista-colonialista”, gli israeliani sono “colonialisti” e dunque i palestinesi hanno il diritto di eliminare i loro oppressori. (Il 7 ottobre abbiamo tutti imparato cosa significava). “Questa ideologia, potente nell’accademia ma da tempo in attesa di una seria contestazione, – scrive Montefiore – è un mix tossico e storicamente insensato di teoria marxista, propaganda sovietica e antisemitismo tradizionale del Medioevo e del XIX secolo. Ma il suo motore attuale è la nuova analisi dell’identità, che vede la storia attraverso un concetto di razza che deriva dall’esperienza americana. Secondo questa argomentazione è quasi impossibile che gli ‘oppressi’ siano essi stessi razzisti, così come è impossibile che un ‘oppressore’ sia oggetto di razzismo. Gli ebrei quindi non possono subire il razzismo, perché sono considerati bianchi e privilegiati; anche se non possono essere vittime, possono sfruttare e sfruttano altre persone meno privilegiate, in Occidente attraverso i peccati del ‘capitalismo di sfruttamento’ e in Medio Oriente attraverso il ‘colonialismo’.”
Questa analisi di sinistra, con la sua gerarchia di identità oppresse e il suo gergo intimidatorio, indizio della sua mancanza di rigore fattuale, ha sostituito in molte parti dell’accademia e dei media – secondo lo storico – i tradizionali valori universalistici della sinistra, compresi gli standard internazionalisti di decenza e rispetto per la vita umana e per i civili innocenti. Quando questa analisi maldestra si scontra con la realtà del Medio Oriente, perde ogni contatto con i fatti storici.
“Il cuore dell’ideologia della decolonizzazione – prosegue Montefiore – è la categorizzazione di tutti gli israeliani, storici e attuali, come ‘colonizzatori’. Questo è semplicemente sbagliato. La maggior parte degli israeliani discende da persone che sono emigrate in Terra Santa dal 1881 al 1949. Non erano completamente nuovi nella regione. Il popolo ebraico ha governato i regni della Giudea e ha pregato nel Tempio di Gerusalemme per mille anni, poi è stato sempre presente in in misura minore nei successivi duemila anni. In altre parole, gli ebrei sono autoctoni in Terra Santa e, se si crede nel ritorno dei popoli esiliati alla loro patria, il ritorno degli ebrei è esattamente questo. Anche coloro che negano questa storia o la considerano irrilevante per i tempi moderni devono riconoscere che Israele è ora la casa e l’unica casa di 9 milioni di israeliani che vivono lì da quattro, cinque, sei generazioni.
La maggior parte degli immigrati nel Regno Unito o negli Stati Uniti viene considerata britannica o americana nel giro di una vita. La politica di entrambi i Paesi è piena di leader di spicco – Suella Braverman e David Lammy, Kamala Harris e Nikki Haley – i cui genitori o nonni sono emigrati dall’India, dall’Africa occidentale o dal Sud America. Nessuno li definirebbe “coloni”. Eppure, le famiglie israeliane che risiedono in Israele da un secolo sono definite “coloni-colonizzatori”, pronti per essere uccisi e mutilati. E contrariamente agli apologeti di Hamas, l’etnia degli autori o delle vittime non giustifica mai le atrocità. Sarebbero atroci ovunque, commesse da chiunque abbia una storia. È sconcertante che spesso siano i sedicenti ‘antirazzisti’ a sostenere esattamente questo omicidio per etnia.”
“Il conflitto israelo-palestinese è disperatamente difficile da risolvere e la retorica della decolonizzazione rende ancora meno probabile il compromesso negoziale che è l’unica via d’uscita – puntualizza lo studioso inglese. Fin dalla sua fondazione nel 1987, Hamas ha usato l’omicidio di civili per rovinare ogni possibilità di una soluzione a due Stati. Nel 1993, i suoi attentati suicidi contro i civili israeliani avevano lo scopo di distruggere gli accordi di Oslo che riconoscevano Israele e la Palestina. Questo mese, i terroristi di Hamas hanno scatenato il loro massacro in parte per minare una pace con l’Arabia Saudita che avrebbe migliorato la politica e il tenore di vita dei palestinesi e rinvigorito la sclerotica rivale di Hamas, l’Autorità Palestinese. In parte, hanno servito l’Iran per impedire il rafforzamento dell’Arabia Saudita, e le loro atrocità sono state ovviamente una spettacolare trappola per provocare la reazione eccessiva di Israele. Molto probabilmente stanno ottenendo il loro desiderio, ma per farlo stanno cinicamente sfruttando degli innocenti palestinesi come sacrificio a fini politici, un secondo crimine contro i civili. Allo stesso modo, l’ideologia della decolonizzazione, con la sua negazione del diritto di Israele a esistere e del diritto del suo popolo a vivere in sicurezza, rende meno probabile, se non impossibile, uno Stato palestinese.”
Qui il link per leggere l’articolo integrale (su “Atlantic”).
com.unica, 2 novembre 2023