L’eredità letteraria e culturale di Pier Paolo Pasolini, una lettera a Pietro Nenni
Un’epistola in versi, scritta nel 1960, pubblicata sull’Avanti! il 31 dicembre 1961
L’originale della poesia dattiloscritta di Pasolini venne inviata a mezzo fax al Senato all’attenzione della segreteria parlamentare del Psi e porta la sua firma in calce. La poesia venne scritta nel 1960 si presume all’indomani della caduta del governo Tambroni. Si presenta sotto forma di una epistola, in versi, indirizzata a Pietro Nenni e pubblicata sull’Avanti! il 31 dicembre 1961. Si inserisce nel dibattito sulla svolta socialista che stava approdando alla prima controversa esperienza del centrosinistra in Italia. Storicamente datato, questo testo ci sembra contenga un nucleo di riflessione politica odierna. “La lotta senza vittoria inaridisce” ed è di straordinaria attualità e importante stimolo ad osservare i travagli negli attuali schieramenti politici in Italia e per di più in Europa. I soliti “corsi e ricorsi storici” di Giovan Battista Vico o le questioni “ritornanti e ricorrenti” nella storia culturale degli italiani?
Di Pasolini, pertanto, ci piace pubblicare questa sua poesia.
“Cari amici dell’“Avanti”, ho scritto questi versi proprio un anno fa in questi giorni. Li ho sempre tenuti, come si dice, nel cassetto, perché me ne vergognavo: sono stati buttati giù così, in una mattina, appunto. Come tanti altri che poi non pubblico. Ma la vergogna non era solo estetica, era anche morale. Avevo paura che questa “lettera a Nenni” suonasse come una rinuncia a certe mie posizioni estreme, le uniche in cui posso vivere. E infatti, alla base dell’ispirazione di quei versi, c’era un profondo scoraggiamento, non lo nego. Ma adesso penso che in fondo ho il diritto, di scoraggiarmi: ci saranno delle ragioni anche obiettive – oltre che personali – in uno scoraggiamento politico. L’importante è che lo scoraggiamento duri lo spazio di una poesia… E, inoltre, il “problema” di cui si parla in questi versi è tornato di estrema attualità, è il problema essenziale della nostra nuova stagione storica: e – questo è ciò che mi importa annotare – la sua soluzione (il centro-sinistra) che un anno fa mi pareva dettata – in me, per mie ragioni personali – dallo scoraggiamento, mi pare invece ora difendibile sul piano razionale e politico. È passato solo un anno e questa “lettera senza scopo” ha trovato il suo scopo. (Quanto poi alla “vergogna estetica”, ho provveduto in sia pur minima parte, con un po’ di lima. Naturalmente – è inutile che lo dica – è chiaro che questi versi vogliono essere di auguri a voi, amici del PSI, per il nuovo anno”.
(Firmato in calce)
Pier Paolo Pasolini
A NENNI (1960)
Era il pieno dell’estate, quell’estate
dell’anno bisestile, così triste
per la nazione in cui sopravviviamo.
Un governo fascista era caduto, e dappertutto c’era, se non quell’aria nuova, quella nuova luce che colorò genti, città, campagne, il venticinque Luglio – una sia pur incerta luce, che dava al cuore un’allegrezza eccezionale, il senso di una festa.
E io come il “naufrago che guata” (scrivo
a un uomo che certo mi concede il cedere
a delle citazioni antidannunziane…)
felice d’aver salvato la pelle – bisestile
doppiamente per me, è stato l’anno –
ho avuto, per un attimo, dentro, il senso
d’un “poema a Fanfani”: e non soltanto
per solidale antifascismo e gratitudine,
ma per un contributo, anche se ideale,
di letterato: un “appoggio morale”, com’è
uso dire. Fu l’idea di un mattino
bruciato dal sole di quell’estate
che qualcuno aveva maledetto, e il cui biancore faceva dell’Italia ricca – che ronzava in lidi popolari e in grandi alberghi,
nelle strade delle Olimpiadi incombenti –
l’imitazione d’una civiltà sepolta.
E poi, ero ridotto a una sola ferita:
se ancora ero in grado di resistere,
lo dovevo a una forza prenatale, ai nonni
o paterni o materni, non so, a una natura
radicata ormai in un’altra società.
Eppure, in quel mio slancio, mezzo
pazzo e mezzo troppo razionale,
c’era una necessità reale: lo vedo
meglio ora, che la collaborazione
è un problema politico: e Lei lo pone.
Dal quarantotto siamo all’opposizione:
dodici anni di una vita: da Lei
tutta dedicata a questa lotta – da me,
in gran parte, seppure in privato
(quanti interni terrori, quante furie).
Con che amore io vedo Lei, acerbo,
gli occhiali e il basco d’intellettuale,
e quella faccia casalinga e romagnola,
in fotografie, che, a volerle allineare,
farebbero la più vera storia d’Italia, la sola.
Io ero ancora in fasce, e poi bambino,
e poi adolescente antifascista per estetica
rivolta… Timidamente La seguivo
d’una generazione: e L’ho vista trionfare
con Parri, con Togliatti, nei grandiosi,
dolenti, picareschi giorni del Dopoguerra.
Poi è ricominciata: e questa volta
abbiamo, sia pur lontani, ricominciato insieme.
Raffaele Panico, com.unica 5 dicembre 2023