In una lunga intervista al New York Times lo studioso americano spiega perché con Trump il passato torna a insegnarci il presente

In un recente articolo di Elisabeth Zerofsky per il New York Times, Robert Paxton, uno dei maggiori studiosi di fascismo al mondo, riflette su come l’ascesa del trumpismo lo abbia spinto a rivedere la sua posizione sull’uso del termine “fascismo” per descrivere la politica contemporanea. Paxton, illustre storico con una carriera che copre oltre mezzo secolo, aveva inizialmente resistito all’applicazione di questo termine per descrivere l’era Trump, notando differenze cruciali tra i regimi fascisti storici e il populismo di Donald Trump. Tuttavia, gli eventi del 6 gennaio 2021 hanno segnato per lui un punto di svolta.

Il 6 gennaio: una svolta storica

Il 6 gennaio 2021, Paxton rimase incollato al televisore, guardando con incredulità mentre una folla di sostenitori di Trump, molti con cappellini MAGA e simboli dei Proud Boys, prendeva d’assalto il Campidoglio. Alcuni manifestanti indossavano costumi stravaganti, altri abiti mimetici, rendendo la scena quasi surreale. Paxton spiega a Zerofsky: “Ero assolutamente rapito da quello che stava accadendo. Non avrei mai immaginato uno spettacolo del genere.” Dal suo appartamento a Manhattan, l’autore del famoso libro Vichy France: Old Guard and New Order, 1940-1944, oggi 92enne, aveva cominciato a vedere preoccupanti parallelismi con i movimenti fascisti europei del ventesimo secolo. L’assalto al Campidoglio gli ricordava la marcia su Roma delle camicie nere di Mussolini nel 1922, o l’assalto al parlamento francese del 1934 da parte di gruppi di estrema destra. Ma più delle analogie storiche, ciò che inquietava Paxton era la trasformazione del trumpismo in sé. “Il ricorso alla violenza era così esplicito e intenzionale che era necessario cambiare il linguaggio con cui lo descrivevamo,” racconta Paxton. “Mi è sembrato che stesse succedendo qualcosa di nuovo e occorresse un linguaggio nuovo.”

Un cambio di prospettiva

Prima del 6 gennaio, nonostante alcune somiglianze tra Trump e i leader fascisti come Benito Mussolini, Paxton aveva sempre consigliato cautela nell’uso del termine “fascismo” per descrivere Trump. In un articolo del 2017 pubblicato su Harper’s Magazine, aveva avvertito: “Dovremmo esitare prima di applicare questa etichetta così tossica.” Secondo lui, il fascismo era un movimento che metteva lo Stato al di sopra dell’individuo, mentre Trump sembrava fare il contrario: subordinare gli interessi della comunità a quelli dei singoli, soprattutto dei più ricchi. Tuttavia, dopo l’assalto al Campidoglio, Paxton cambiò posizione. Contattato da Newsweek, dichiarò pubblicamente la sua nuova opinione: “L’invasione del Campidoglio rimuove la mia obiezione all’uso del termine fascista,” scrisse in un articolo dell’11 gennaio 2021. L’incitamento aperto alla violenza da parte di Trump per ribaltare i risultati elettorali “oltrepassa una linea rossa.” Il termine fascismo ora gli sembrava non solo accettabile, ma necessario.

Questa inversione di rotta fu significativa. Come uno dei massimi esperti di fascismo al mondo, il cambiamento di Paxton ebbe un forte impatto, considerata l’autorevolezza dello studioso. Molti commentatori che avevano già sostenuto che il trumpismo fosse una forma di fascismo videro in questa dichiarazione una legittimazione della loro tesi. Citare Paxton, come notò lo storico Samuel Moyn, è “un’affermazione di autorità—è ineguagliabile.”

L’evoluzione del fascismo

Gran parte del lavoro di Paxton si è concentrato sullo studio del fascismo come comportamento politico, più che come ideologia. Già nel suo libro intitolato Il fascismo in azione. Che cosa hanno veramente fatto i movimenti fascisti per affermarsi in Europa, Paxton aveva ben delineato l’evoluzione dei movimenti fascisti, dalla loro nascita fino alla radicalizzazione attraverso la violenza.

Per Paxton, il fascismo non era costruito su una complessa ideologia come il liberalismo o il socialismo, ma era alimentato da sentimenti di umiliazione e declino nazionale. Nel libro Anatomia del fascismo, scrisse: “Il fascismo non si fonda su un sistema filosofico elaborato, ma su sentimenti popolari riguardanti razze superiori e la loro presunta predominanza sugli inferiori.” Questo approccio, basato sulle emozioni più che sulle idee, è ciò che preoccupa Paxton quando osserva il fenomeno del trumpismo. Quando Zerofsky gli chiede se il trumpismo possa essere considerato fascismo, Paxton risponde con cautela, ma fermamente: “Sta emergendo dal basso in modi molto preoccupanti, ed è molto simile ai fascismi originali. È reale. Lo è davvero.”

Le insidie del termine “fascismo”

Nonostante il suo cambio di idea, Paxton rimane prudente sull’uso del termine “fascismo” nel dibattito politico contemporaneo. Anche se ora lo ritiene applicabile al trumpismo, avverte che può essere una “parola che genera più calore che luce.” Paxton teme che l’uso del termine possa portare a scorciatoie mentali, distogliendo l’attenzione dalle specifiche condizioni politiche ed economiche che permettono a movimenti populisti come quello di Trump di prosperare.

Secondo Paxton, il vero focus non dovrebbe essere solo sui leader come Trump, ma sull’ambiente sociale che permette a questi movimenti di nascere e crescere. “Bisognerebbe studiare l’ambiente da cui sono nati,” afferma. Perché il fascismo attecchisca, spiega, “ci dev’essere una falla nel sistema politico.”

Fascismo: ieri e oggi

La riflessione di Paxton sul trumpismo si inserisce in un più ampio dibattito tra storici e politologi sull’utilità di paragonare Trump ai leader fascisti del passato. Alcuni studiosi sostengono che l’etichetta fascista offra un quadro utile per comprendere i pericoli rappresentati dal movimento di Trump, mentre altri, come Samuel Moyn, mettono in guardia dal rischio che tali paragoni oscurino la novità dei moderni movimenti autoritari. Per Paxton, tuttavia, i parallelismi sono sempre più evidenti. “Qualunque cosa sia il trumpismo, sta emergendo come un fenomeno di massa,” osserva, notando come anche Mussolini e Hitler abbiano capitalizzato sul malcontento popolare per guadagnare potere. Nel caso di Trump, Paxton vede una dinamica simile, con il populismo che alimenta un pericoloso movimento antidemocratico.

com.unica, 24 ottobre 2024 (a cura di Sebastiano Catte)

Fonte: Elisabeth Zerofsky, “Is It Fascism? A Leading Historian Changes His Mind,” New York Times, 23 ottobre 2024.

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