Più che “il mondo al contrario” noi lo definiremmo “il mondo bislacco”.

Lo zar Putin minaccia continuamente di usare l’arma più letale di sempre; il satrapo King Jong-un sforna missili come fossero baguette, per mostrare i propri muscoli e rifornire la Russia a corto di munizioni e, a quanto pare, anche di uomini; l´imperatore Xi Jinping spinge i cantieri navali a produrre portaerei a tutto vapore, per intimorire Taiwan e non solo; l´Ayatollah Ali Khamenei snocciola missili e droni come se fossero grani di tasbeeh (rosari) per equipaggiare Russia, palestinesi e Houthi; e gli Hezbollah, forse più utili al Gran Sasso, hanno trasformato il Medio Oriente in Groviera o Emmental che dir si voglia, a furia di scavare tunnel come talpe meccaniche. Ma cosa succede in Italia?

Un mondo a parte

I talk show nostrani, tra le tante disgrazie che ci affliggono, fanno a gara per inscenare insensati e interminabili dibattiti sul funzionario bancario disonesto che osò controllare i conti della spesa di politici e no; sui dodici malcapitati forestieri che sono stati traferiti, a torto secondo il Tribunale di Roma, nei centri per migranti in Albania; e sul costo che detta operazione comporta. Gli spettacoli giocosi sono un discorso separato (panem et circenses).

Beh, ce n’è per tutti i gusti e non si verrà a dire che non viviamo in un “mondo a parte” più che un tantino bislacco!

D’altronde, secondo lo scrittore statunitense Chuck Palahniuk, «Il modo più rapido per chiudere una porta sulla realtà è seppellirsi nei dettagli» ed è ciò che accade: ignoriamo la tragica realtà delle guerre in corso, che sono decine oltre alle più conosciute e a noi vicinissime, per immergerci in una specie di edonismo di massa ovvero occupandoci di inezie, di cronaca spicciola, di game show.

«Il pettegolezzo diverte solo noi giornalisti: ce la cantiamo e ce la suoniamo». È quanto affermava Maurizio Costanzo buonanima, ma anche se assicuriamo che il gossip non ci piace, in verità, chi più chi meno, siamo tutti caduti nel piacere specifico dei pettegolezzi.

Parafrasando un detto di Papa Francesco, diremmo che le chiacchiere sono una peste, ma aiutano a fare audience. Quell’audience tanto disputata dai conduttori degli spettacoli televisivi, che non riescono a educare, a informare; sanno solo, ahinoi, pettegolare e gli ascoltatori, omologandosi sempre di più alla massa, perdono la fantasia, la capacità di ragionare e… a poco a poco inebetiscono.

È notorio che l’Italia si colloca tra le nazioni più longeve col 24% della popolazione di anziani che, secondo le stime di Istat, potranno aumentare fino al 34% nel 2050. Se poi aggiungiamo che una parte di detta popolazione rincoglionisce naturalmente per vecchiaia e un’altra parte inebetisce assistendo a determinati spettacoli scialbi, diseducativi e mirati a distogliere l’attenzione dai veri problemi… si salvi chi può!

Moderni studi scientifici hanno provato che invece il buon teatro offre molti benefici psicologici sia a livello personale che sociale; e così è per qualsiasi buon spettacolo. Orbene, è necessario educare i giovani alle buone rappresentazioni teatrali e televisive; non abbandonarli alla mercè dell’informazione e della formazione globalizzate, legate a logiche di potere.

Siamo arrivati al punto in cui un numero sempre più esiguo di potenti gruppi editoriali controlla quasi tutti i mezzi di comunicazione, restringendo così, pericolosamente, la diversità dei punti di vista. Detti gruppi rappresentano i «poteri forti», e sovente diffondono all’unisono una certa versione di accadimenti internazionali, che altro non è che una versione di comodo e non la verità, ovvero la corrispondenza tra i fatti accaduti e i fatti narrati.

La perversione della città inizia con la frode delle parole

La citazione è attribuita a Platone e trasmette un pensiero difficile da confutare. Chi è in grado di operare la scelta e il senso delle parole è anche in grado di definire la realtà; politically correct docet.

Restano attuali le considerazioni di Pasolini a cento anni della sua nascita: «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi».

In sostanza, Pasolini è stato il precursore di coloro che ci hanno avvertito sui pericoli della dittatura imposta dalla civiltà dei consumi.

«Un uomo va giudicato dalle scelte. Non tanto da quelle giuste, ma da come è riuscito a venirne fuori da quelle sbagliate». È un’anonima citazione che ce lo ricorda.

Beh… dunque che ne dite: proviamo a fare la nostra storia futura, riabbracciando la nostra libertà e vivendo in modo autentico, significativo e armonico, oppure rimaniamo a suonare tutti la stessa nota?

Giuseppe Arnò

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