Gli 80 anni di Gigi Riva: un viaggio tra storia e leggenda
Cagliari celebra con un ciclo di eventi il campione che ha trasformato il sogno di un’isola in realtà, incarnando un’epica moderna
Nel cuore di Cagliari, dove il vento porta con sé il profumo del mare e le voci dei pescatori si mescolano ai suoni della città, questi giorni hanno un sapore diverso. Le strade si tingono di rossoblù, i colori di una passione che supera il tempo. È l’ottantesimo compleanno di Gigi Riva, e sebbene il grande campione non sia più tra noi dal 22 gennaio scorso, la sua presenza è più viva che mai.
Il 7 novembre, data scolpita nella memoria collettiva come il giorno in cui nacque a Leggiuno colui che sarebbe diventato il “più sardo dei sardi”, Cagliari ha aperto il sipario su una serie di eventi – la “Gigi Riva football week” – che in questi giorni celebrano non solo un calciatore, ma un simbolo, un mito. Al Teatro Lirico, le luci si sono accese su una serata che è stata molto più di uno spettacolo: una festa dell’anima, condotta da Alessandro Bonan. Sul palco, figure come Claudio Ranieri e Gigi Buffon hanno condiviso ricordi e aneddoti, mentre le note al pianoforte di Piero Marras che canta “Quando Gigi Riva tornerà” hanno riempito l’aria di emozioni antiche e sempre nuove. Ma le celebrazioni non si sono limitate a una sola notte. Anche il cielo ha partecipato, con la ricostruzione al Planetario della volta celeste del 7 novembre 1944, come a voler catturare l’essenza di un destino scritto tra le stelle. Le strade di Cagliari sono diventate un museo a cielo aperto: murales che raccontano storie, un ulivo piantato in suo onore nel Terrapieno di viale Regina Elena, e una mostra immersiva, “Luigi”, a Sa Manifattura – realizzata che ha permesso ai visitatori di immergersi nella vita e nelle imprese del numero 11 del Cagliari. A Mandas, un treno speciale dell’Arst è stato dedicato a lui, così come una piazza e una statua artistica, prima in Italia a portare il suo nome. E al cimitero monumentale di Bonaria, la sua tomba è diventata meta di un pellegrinaggio silenzioso ma potente, un fiume di persone che hanno voluto rendere omaggio all’uomo che ha incarnato i loro sogni.
Una settimana di eventi e di celebrazioni per rendere omaggio a un uomo che oltrte ad essere un fuoriclasse in campo era l’incarnazione di un’epoca, di un modo di intendere lo sport e la vita. Arrivato in Sardegna da Leggiuno, sulle rive del Lago Maggiore, portava con sé un bagaglio fatto di talento puro e di un passato difficile. Orfano di padre in giovane età, aveva conosciuto il dolore e la fatica, elementi che avrebbero forgiato il suo carattere e la sua determinazione.
Con il Cagliari, Riva ha scritto pagine indelebili di storia calcistica. Lo scudetto del 1970 non è stato solo una vittoria sportiva, ma un evento capace di cambiare la percezione di un’intera regione. In un’Italia dove il calcio era dominato dalle grandi squadre del nord, quel tricolore sul petto dei rossoblù era un segno di riscatto sociale e culturale. In Nazionale, Riva è stato un autentico trascinatore. Con 35 gol in 42 presenze, detiene ancora oggi il record di miglior marcatore azzurro. Ma al di là dei numeri, ciò che rimane impresso è la sua dedizione, la capacità di unire un Paese attraverso lo sport. Era l’uomo che scendeva in campo non solo per vincere, ma per rappresentare qualcosa di più grande di sé. Il suo rifiuto delle offerte delle grandi squadre del nord è diventato leggenda. La Juventus, il Milan, l’Inter: tutte volevano quel sinistro potente, ma Riva rimase fedele alla Sardegna. “Preferirei di no”, come il Bartleby lo scrivano nel racconto di Herman Melville, rispondeva a chi cercava di tentarlo con contratti faraonici. Una scelta di cuore, di appartenenza, che lo ha reso un esempio di integrità in un mondo spesso dominato dal denaro.
Il mito
Per comprendere appieno il mito di Gigi Riva, bisogna immergersi nella Sardegna degli anni ’60 e ’70. Un’isola ricca di fascino e allo stesso tempo aspra, dove la modernità faceva fatica ad attecchire. Come ha ricordato lo storico Gianluca Scroccu in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università di Cagliari (dedicata proprio a Gigi Riva), era una terra da cui molti fuggivano in cerca di fortuna nel continente o all’estero. L’emigrazione era una necessità, non una scelta e il miraggio di un futuro migliore spingeva i giovani a lasciare casa per lavorare nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova o in paesi come Francia e Germania. In questo contesto Riva ha rappresentato una svolta, in quanto simbolo di speranza. Il suo talento ha acceso l’entusiasmo di un popolo intero, che si è riconosciuto in lui. La Sardegna lo ha adottato, e lui ha ricambiato con un amore incondizionato. I suoi funerali, lo scorso gennaio, sono stati una testimonianza toccante di questo legame, una scena che ha cementato per sempre il posto di Riva non solo nel calcio, ma nella memoria collettiva, come eroe che ha dato tutto per una terra non sua, ma che ha scelto come casa. C’è ancora ben vivo il ricordo di migliaia di persone hanno affollato le strade di Cagliari, in un silenzio carico di emozione. La bara, portata a spalla dai suoi compagni di squadra e da giovani calciatori, ha attraversato la città come in una processione sacra. Il tramonto sul mare ha fatto da sfondo a un addio che era anche una celebrazione della vita.
Gianni Brera, maestro del giornalismo sportivo, aveva colto l’essenza di Riva. Per lui, il campione era “Rombo di Tuono”, un eroe che aveva permesso alla Sardegna di entrare nella storia del calcio italiano. “Questa regione rappresentava fino agli anni Sessanta un’altra galassia”, scriveva. “La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio”. Gianni Mura, altra firma nobile del giornalismo, descriveva Riva come “basaltico”, solido e resistente come le rocce dell’isola. Un uomo di poche parole, ma di grandi azioni. Un personaggio che sembrava uscito da un romanzo epico, un moderno Ulisse che, dopo aver conosciuto il mondo, sceglie di fermarsi in un luogo e di farlo suo.
In tempi più recenti lo storico contemporaneo Massimo Baioni ha analizzato la figura di Riva nel contesto sociale e culturale dell’epoca. In un suo saggio, Baioni sottolinea come il campione abbia incarnato un’idea di identità che andava oltre il campo da gioco. La sua scelta di restare a Cagliari, rifiutando le sirene delle grandi squadre, è vista come un gesto rivoluzionario, un atto di fedeltà a una terra che lo aveva accolto e amato. Riva è diventato così un mito vivente, un eroe che ha saputo unire passato e presente. Come i nuraghi, le antiche torri di pietra che punteggiano il paesaggio sardo, ha rappresentato una continuità tra le generazioni. La sua storia è stata tramandata dai padri ai figli, in un racconto che mescola realtà e leggenda.
Oggi, mentre Cagliari e la Sardegna intera celebrano gli 80 anni di Gigi Riva, il suo spirito continua a vivere tra le vie della città, nei campi di calcio dove i bambini corrono dietro a un pallone, nei cuori di chi lo ha visto giocare e di chi ne ha solo sentito parlare. Il mito di Riva è la testimonianza di come un uomo possa diventare simbolo di un popolo, di come lo sport possa trascendere il semplice gioco per farsi storia e cultura. “Il mito è il nulla che è tutto” scriveva Fernando Pessoa in una sua celebre lirica, e Gigi Riva è quel tutto che riempie il nulla lasciato dalla sua assenza. È il ricordo di un tempo in cui i valori contavano più dei contratti, in cui la lealtà e l’onore erano monete più preziose dell’oro. È l’esempio di come si possa scegliere la strada meno battuta e trovare in essa la vera felicità. In un mondo dominato dalla velocità, il suo esempio rimane una bussola per orientarsi. E mentre le onde del mare di Cagliari continuano a infrangersi sulle coste, il nome di Gigi Riva risuona ancora, come un rombo di tuono che attraversa il tempo.
Sebastiano Catte, com.unica 8 novembre 2024
*Nella foto in alto Gigi Riva in un murale realizzato dall’artista Giorgio Casu all’ingresso dello stadio Amsicora.