Una ipotesi sul significato originario della figura di Hermes
La versione italiana di uno studio di Felice Vinci e Arduino Maiuri pubblicato sulla rivista accademica internazionale “Athens Journal of Mediterranean Studies”
Abstract
L’origine e il significato di Hermes, la cui figura è ricca di aspetti diversi ed anche contraddittori, non sono stati mai chiariti. Partendo da un passo dell’Inno omerico a lui dedicato – in cui Hermes è considerato colui che “per primo inventò i mezzi per fare il fuoco e il fuoco” – e dal fatto che talvolta è stato associato a Hestia, la dea del focolare, qui si propone che in origine fosse un dio del fuoco. Ciò spiega immediatamente le sue attribuzioni, il significato del suo nome e perfino il caduceo con cui è raffigurato. Inoltre la coppia Hermes-Hestia corrisponde alla concezione dei due fuochi nel mondo vedico, uno dei quali è il “fuoco maschile” del cielo, quadrangolare, mentre l’altro è il “fuoco femminile” della terra, circolare. Questa dimensione originaria di Hermes come dio del fuoco lo collega anche ai fulmini, che provocano incendi boschivi e sono considerati un presagio divino, il che spiega la sua funzione di messaggero degli dei (che trova riscontro in divinità del fuoco appartenenti ad altri contesti mitici). A questo punto è possibile identificare l’autentico corrispondente originario di Hermes nel mondo romano: era l’antico dio Termine, la cui iniziale dimensione legata al fuoco col passare del tempo si è andata affievolendo fino a svanire, come è avvenuto anche per Hermes.
Hermes nell’antica tradizione mitologica
La figura di Hermes è molto complessa. È il messaggero degli dei e il loro intermediario con gli uomini; è il protettore dei pastori, dei mercanti e dei ladri; è chiamato psykhagōgos o psykhopompos, perché accompagna le anime dei defunti nell’aldilà; è l’argeiphontēs, perché ha ucciso Argo, e il kynagkhēs, perché ha strangolato un cane; è il tetragonos, ossia “il Quadrangolare”; ma è anche un dio-pietra e un dio dei mucchi di pietre, in un bizzarro contrasto con le ali che ha ai piedi, che lo rendono velocissimo e imprevedibile (Allan 2018, Miller e Strauss Clay 2019).
Tutto ciò significa che la sua vera immagine, che potremmo ben definire “ermetica”, finora è rimasta nascosta dietro un insieme, o meglio, un groviglio apparentemente inestricabile di attribuzioni eterogenee o addirittura antitetiche, che fino ad oggi hanno reso arduo ogni tentativo di comprenderne l’origine e il significato. Lo stesso si può dire del suo nome, che finora non è mai stato adeguatamente spiegato (Stockmeier 1988).
A questo punto osserviamo che Hermes viene strettamente associato a Hestia, la dea del focolare e del fuoco sacro (North 2001, Friedman 2002, Kajava 2004), nel primo degli Inni omerici a lei dedicati. E ciò trova un riscontro nel fatto che sulla base della grande statua, oggi scomparsa, di Zeus a Olimpia (Barringer 2010, Burton 2015) Fidia aveva rappresentato i Dodici Dei, raggruppati a due a due in sei coppie, ciascuna formata da un dio con una dea.
Però tra queste coppie divine quella costituita da Hermes e Hestia finora è stata considerata un problema, perché secondo gli studiosi non vi è nulla, né nella loro genealogia, né nelle leggende che li riguardano, che giustifichi tale associazione (Vernant 1963, p. 12).
Ora, talvolta sono proprio le anomalie ad indicare la soluzione dei problemi. In effetti, questo accostamento apparentemente bizzarro tra le due divinità si sposa perfettamente con un passaggio chiave dell’Inno omerico a Hermes, in cui si afferma che egli fu l’inventore del fuoco (Johnston 2002, Vergados 2011, Jarczyk 2017): “…Raccolse un mucchio di legna e cominciò ad indagare sull’arte del fuoco./ Prese un ramo di alloro e lo rigirò in un melograno/ tenendolo fra le mani, e si levò un fumo caldo./ Hermes fu il primo a inventare i mezzi per fare il fuoco e il fuoco” (108-111).
Ora, considerando anche che il suo nome è accostabile al termine sanscrito gharmah, “calore”, la cui radice si ritrova nell’aggettivo greco thermos, “caldo”, “ardente” (ma anche l’armeno jerm ha lo stesso significato), è ragionevole supporre che dietro le caratteristiche di Hermes ed il suo stesso nome si nasconda un antico dio del fuoco. D’altronde ciò non sorprende, se si considera che anche il dio babilonese Nusku (Lewy e Lewy 1948), messaggero del dio Enlil e intermediario tra gli dei e gli uomini, era un dio del fuoco (un altro dei suoi nomi è Girru o Gerra, forse accostabile a gharmah).
Dunque Hermes e Hestia sono in relazione tra loro in quanto Hestia personifica il fuoco sacro e il focolare all’interno delle case (Carandini 2015), mentre Hermes rappresenta il fuoco all’aperto, acceso nei bivacchi da coloro che viaggiano, lavorano o vagano di notte: pastori, mercanti, viaggiatori, ladri… insomma, tutti quelli che nell’antica Grecia lo consideravano il loro dio tutelare.
Questa è la chiave per comprendere tutte le sue molteplici attribuzioni. Infatti Hermes è il dio sia degli animali domestici che di quelli selvatici (Inno a Hermes 569-571), perché durante la notte il fuoco dei pastori protegge gli uni e terrorizza gli altri. Il fuoco stesso ha un potere molto forte – per questo è considerato un dio – ma è ambivalente: infatti è benefico per gli uomini, però è anche estremamente mutevole, bizzarro e imprevedibile; inoltre diventa pericolosissimo quando si diffonde troppo velocemente o in modo incontrollato, soprattutto quando è alimentato dal vento. Così si spiegano immediatamente le “ali ai piedi” di Hermes, vivacissima metafora della tendenza del fuoco ad espandersi in modo estremamente rapido e soprattutto a levarsi verso l’alto. Esso inoltre spesso “ruba” i beni degli uomini: piante, alberi, bestiame, raccolti… un motivo in più per considerarlo il dio dei ladri!
Quanto al fatto che Hermes fosse chiamato argeiphontēs e kynagkhēs, cioè uccisore e strangolatore di cani, ciò potrebbe forse alludere a qualche racconto mitico, non arrivato fino a noi, in cui un cane veniva soffocato dal fumo di un incendio, magari in un ovile.
Hermes presenta inoltre aspetti sciamanici (che ne mostrano la grande antichità, la quale col tempo ha finito per mettere in ombra la sua attribuzione originaria). Si tratta infatti di un dio psicopompo, che conduce le anime dei morti nell’aldilà (Od. XXIV, 1-10), con un chiaro riferimento al fuoco delle pire su cui venivano bruciati i corpi dei defunti; ma è anche un dio della musica, a cui l’Inno omerico a lui dedicato attribuisce l’invenzione della cetra (kithara): infatti la musica ha una forte connotazione sciamanica, per non parlare dei bivacchi notturni attorno al fuoco, spesso allietati dal suono di uno strumento musicale.
Questi ultimi sono anche la chiave per comprendere perché quell’Inno omerico attribuisca al piccolo Hermes l’emissione di un rumore sconveniente mentre si trova in braccio ad Apollo, il suo fratello maggiore: il riferimento è presumibilmente al crepitio del fuoco (non a caso, il vocabolo del dialetto siciliano che esprime questo concetto, pirita, contiene la radice di pŷr, “fuoco” in greco); invece il sole, cioè Apollo, emette luce e calore silenziosamente, senza produrre alcun rumore.
Hermes, inoltre, è “desideroso di carne”, ma non ne mangia (Inno a Hermes 130-133), come il fuoco dei sacrifici che brucia le vittime. D’altra parte, il sacrificio dei buoi (121-123) è simile a quello del bue compiuto da Prometeo (Esiodo, Teogonia 536-541), anch’egli un “dio ladro” legato al fuoco (Lloyd -Jones 2003, Baumbach 2014, Yona 2014-2015). Questi due personaggi sono però molto diversi: Hermes è il messaggero di Zeus, mentre Prometeo ne è un acerrimo nemico; l’uno rappresenta il fuoco che si accende e si diffonde in modo naturale, ad esempio quando un fulmine colpisce un albero, mentre Prometeo è accostabile a Efesto, corrispondente al fuoco della fucina e della fusione dei metalli, prodotto dall’uomo e che simboleggia la hybris prometeica dell’homo faber (Ferrarin 2000-2001) di dominare le forze della natura e di competere con gli dei attraverso la tecnologia: da qui la sua rivalità con Zeus.
A questo punto si chiarisce anche perché Hermes sia considerato un dio-pietra, legato alle pietre: il riferimento è alla selce, la pietra che se percossa produce rumorosamente una scintilla – una specie di piccolo fulmine – che a sua volta è capace, proprio come il fulmine vero e proprio, di produrre un incendio. D’altro canto, per una mentalità arcaica è naturale credere che il bagliore del fulmine, seguito dal fragore del tuono, sia prodotto dalla percussione altrettanto rumorosa del martello di una divinità celeste: pensiamo al nordico Thor così come a Tiermes, dio lappone del fulmine (Bosi 1995, p. 114), la cui somiglianza con il nome di Hermes – nonché con l’aggettivo greco thermos (“caldo, ardente”) – appare a dir poco singolare. Per inciso, il rapporto tra Hermes e Tiermes è stato approfondito in un altro studio (Maiuri e Vinci 2021) in cui si propone una spiegazione dell’anomalia del ciclo lunare riscontrata nell’Inno omerico a Hermes (Humbert 1967, p. 108) in termini di un’originaria ambientazione artica dell’Inno stesso, sorprendente ma sostenuta da vari indizi.
Si può insomma legittimamente supporre che la figura di Hermes sia nata in epoca preistorica come dio del fuoco, come conferma il suo legame con Hestia. Ed è presumibilmente dal fulmine, che provoca incendi nelle foreste e negli alberi, che trasse origine la sua originaria dimensione di fuoco degli spazi aperti, nonché la sua funzione di messaggero degli dei (come accadde anche a Nusku, il suo corrispondente mesopotamico): ecco perché i tuoni che accompagnano i fulmini sono stati spesso considerati segni e presagi della volontà divina (ad esempio, in Odissea XX, 103). Alla luce di tutto ciò, si può dedurre che l’Inno omerico a Hermes sia una sorta di “fossile letterario”, provvidenzialmente sopravvissuto alle traversie della storia nel corso dei millenni.
Hermes, Hestia e i due fuochi vedici
Riguardo alla singolare attribuzione a Hermes dell’epiteto di tetragonos, “il Quadrangolare”, a nostro avviso è illuminante un’informazione tramandata da Pausania (II secolo d.C.), secondo cui in una città della sua epoca vi era una statua in pietra raffigurante un Hermes quadrangolare, di fronte a cui si trovava il focolare di Hestia (Vernant 1978, p. 195). Questo non solo conferma quanto emerso finora, ma ci fa fare un ulteriore passo avanti: ciò infatti corrisponde alla geometria dei due fuochi dei sacrifici nella primitiva religione vedica, su cui si sofferma Georges Dumézil. Egli afferma che “durante la cerimonia, la moglie del sacrificante sta in piedi presso il primo fuoco. Esso indica il legame con la terra (…) e, pertanto, è circolare. L’altro fuoco assiale, a est del primo, è chiamato āhavanīya, il fuoco delle offerte (…). Il suo fumo porta i doni degli uomini agli dei (…) Questo fuoco è “l’altro mondo”, “il cielo” e, pertanto, è orientato secondo i punti cardinali ed è quadrangolare” (Dumézil 1977, p. 278).
A questo punto si può dire che il concetto vedico dei “due fuochi” principali, maschile e femminile, era presente anche nella religione dell’antica Grecia. Ciò pertanto rappresenta l’ultima memoria di un’eredità condivisa, risalente al tempo in cui gli antenati comuni dei Greci e degli Indiani erano ancora indivisi (Macedo 2020). A nostro avviso, lo stesso concetto si ritrova anche nel mondo germanico, dove in occasione della Notte di Valpurga (Barletta 2013), vigilia della festa cristiana di Santa Valpurga (1° maggio), secondo la tradizione le streghe si riuniscono per celebrare il loro Sabba sulla cima del monte Brocken, dove si trovano due grandi rocce, chiamate Hexenaltar (“Altare delle Streghe”) e Teufelskanzel (“Pulpito del Diavolo”): quest’ultima, di forma quadrangolare, evidentemente corrisponde al “fuoco maschile”, mentre la prima rappresenta il “fuoco femminile” del mondo vedico.
È pure degno di nota il fatto che lo stesso giorno, il 1° maggio, nel mondo romano si celebrava la festa delle Palilie (Ov., Fasti IV, 721-862), in cui i pastori accendevano fuochi sul colle Palatino (Vanggard 1971, Gjerstad 1976, Toporov 1977). A questo proposito, ci sembra significativo che una delle due cime del Palatino fosse chiamata Cermalus (Castagnoli 1977), nome che ha la stessa radice di Hermes; del resto, in un lavoro precedente (Vinci e Maiuri 2017: cfr. anche Nissan et al. 2019, max. pp. 104–124) abbiamo mostrato che il Palatino è la controparte sulla terra di Maia, la divinità (madre di Hermes collegata al 1° maggio, come afferma Ovidio nei suoi Fasti) che è anche la stella centrale delle sette Pleiadi, di cui i Sette Colli di Roma sono la proiezione (secondo il detto tradizionale della Tavola Smeraldina, attribuito a Ermete Trismegisto: “Come in alto, così in basso”).
Nello stesso lavoro è anche emersa la plausibilità dell’ipotesi che Maia fosse la divinità segreta protettrice di Roma, mentre in due lavori successivi (Vinci e Maiuri 2019, 2021a) abbiamo mostrato che la tradizionale data di fondazione di Roma, il 21 aprile, è anch’essa strettamente legata alle sette Pleiadi. Per inciso, è curioso che Cermalus sia quasi omonimo del biblico Monte Carmelo, dove il profeta Elia fece scendere il fuoco dal cielo per bruciare un sacrificio (1Re 18:38). Sarebbe anche da chiedersi se in tempi molto arcaici, precedenti alla fondazione di Roma, sulle due vette del colle Palatino, il Cermalus e il Palatinus, non sorgessero due altari dedicati rispettivamente al fuoco maschio (Hermes) e al fuoco femmina (Pale, la dea dei fuochi del 21 aprile), in analogia con quelle formazioni rocciose del monte Brocken su cui in un lontano passato ardevano i due fuochi vedici.
Sempre a proposito di Roma, Georges Dumézil sottolinea che “la pratica romana dei fuochi sacri presenta notevoli analogie con quella indiana (…). Sull’altare (…) l’offerta verrà bruciata e quindi trasmessa al dio; tuttavia, accanto all’altare deve assolutamente esserci un focolare” (Dumézil 1977, p. 280). Insomma la concezione dei due fuochi si ritrova nel mondo romano arcaico, in cui Vesta, identica a Hestia sia per la funzione che per il nome (Ampolo 2005), con il suo tempio circolare rappresenta il fuoco della terra: così le Vergini Vestali erano le sacerdotesse che assicuravano la purificazione della città (del Basso 1974, Martini 2004, Wildfang 2006, Arvanitis 2010).
Inoltre, indagando sulle divinità romane alla ricerca di qualche analogia con Hermes, emerge che l’antico dio Termine (Piccaluga 1974, De Sanctis 2005), il cui nome sembra anch’esso richiamare sia Tiermes che thermos, rappresenta “un culto delle pietre terminali, i cippi di confine delle proprietà private” (Dumézil 1977, p. 386). Di lui infatti Ovidio dice: “O Termine, che tu sia una pietra o un tronco nel campo/ anche tu sei un dio fin dall’antichità” (Ov., Fasti II, 641-642). D’altro canto, lo stesso Omero chiama termata (Il. XXIII, 333) il punto di svolta di una corsa di carri, costituito da un tronco secco con due pietre accanto.
Ovidio continua raccontando che il 23 febbraio veniva allestito un altare rustico per onorare il dio Termine, con pezzi di legno accatastati e rami piantati a terra, che venivano poi accesi e sui quali si bruciavano le offerte sacrificali (Fasti II, 645-656), e poco dopo menziona una caratteristica del tempio che Termine condivideva con Giove sul Campidoglio: “Anche adesso, così che non veda altro che le stelle sopra di sé,/ il tetto di quel tempio ha una piccola apertura” (“nunc quoque, se supra ne quid nisi sidera cernat/ exiguum templi tecta foramen habent”, 671-672). Si trattava, quindi, di un tempio aperto verso l’alto, il che conferma la dimensione celeste di Termine e soprattutto il fatto che in origine questo dio rappresentava il fuoco del cielo, proprio come Hermes.
A questo punto osserviamo che questi due ultimi versi – che non a caso abbiamo riportato anche nella versione originale latina – sono a nostro avviso rivelatori, poiché restituiscono all’oculus, il grande foro circolare alla sommità della cupola del Pantheon, il suo reale significato originario, che non era meramente funzionale (come si ritiene attualmente): infatti, essendo il Pantheon dedicato “a tutti gli dei”, come dice il suo stesso nome, da quei versi si arguisce la necessità che il suo tetto fosse aperto, al fine di evitare che le divinità celesti come Termine si sentissero “fuori posto”, a disagio in un ambiente chiuso.
Turms – il dio etrusco, corrispondente a Hermes, il cui nome sarebbe un calco del greco Hermēs, con la T iniziale da intendersi come articolo, poiché spesso nel greco arcaico il teonimo lo prevedeva (Clackson 2017) – e siano forse accostabili anche al Tummo, o “fuoco interiore”, l’antica tecnica di meditazione praticata dai monaci buddhisti tibetani: ecco un altro possibile punto di contatto con il primitivo mondo degli indoeuropei indivisi, che meriterebbe qualche approfondimento.
Insomma, anche se nel mondo romano il corrispondente di Hermes è considerato Mercurio, che effettivamente ne conserva alcune attribuzioni, in realtà è probabile che in una remota preistoria il vero alter ego di Hermes nella sua primitiva dimensione di dio del fuoco fosse Termine, la cui natura originaria però con il passare dei secoli si è andata via via affievolendo. D’altro canto, parallelamente anche Hermes, come abbiamo visto prima, col tempo la ha pressoché smarrita: ne è rimasto l’ultimo ricordo solo nel suo Inno, che può essere considerato alla stregua di un “fossile” che affonda le sue più antiche radici nella notte dei tempi.
Osserviamo infine che l’ultima apparizione di Hermes in veste di messaggero celeste si trova nell’Inferno di Dante. Infatti, il ritratto che ne fa Omero nell’episodio del V libro dell’Odissea in cui Hermes si reca all’isola della dea Calipso per comunicarle l’ingiunzione, da parte di Zeus, di lasciare libero Ulisse di tornare a Itaca, a nostro avviso ha ispirato il misterioso personaggio “da ciel messo” che nel IX canto dell’Inferno permette a Dante e Virgilio di entrare nella città dei dannati, come abbiamo mostrato in un altro studio dedicato al nostro sommo poeta nel 700° anniversario della sua morte (Vinci e Maiuri 2021b).
Il caduceo
Sempre riguardo a Hermes, il significato, finora non chiarito, del caduceo che gli è tradizionalmente attribuito – un bastone con due ali in cima, attorno al quale si avvolgono due serpenti – alla luce di quanto appena detto si può spiegare subito: infatti, ricordando come Hermes produsse per la prima volta il fuoco – “Prese un ramo di alloro e lo rigirò in un melograno/ tenendolo fra le mani, e si levò un fumo caldo” – risulta evidente che il caduceo simboleggia il ramo di legno, utilizzato da molte culture arcaiche, che, ruotato alternativamente nei due sensi opposti in un foro praticato su una tavola di legno, accende la fiamma per sfregamento.
In questa interpretazione, i due serpenti rappresentano il doppio moto rotatorio, orario e antiorario, con cui il bastone viene alternativamente fatto roteare tra le palme delle mani fin quando il fuoco non si accende. Quanto alle “ali”, esse sono una vivida rappresentazione del “fumo caldo” che sale verso l’alto allorché il fuoco viene acceso. È evidente che questa spiegazione del caduceo, proprio perché discende in modo del tutto naturale dall’ipotesi che all’origine del personaggio di Hermes vi sia stato un dio del fuoco, di per sé ne rappresenta un’ulteriore conferma.
Notiamo ancora che un simbolo apparentemente analogo al caduceo è il cosiddetto “bastone di Esculapio”, dio della medicina (Panagiotidou 2016): esso infatti, rappresentato da un bastone attorno a cui si avvolge un serpente, è simile al caduceo; però non è affatto identico, perché in questo caso il serpente è unico e mancano le ali.
Anche qui abbiamo chiaramente a che fare con un moto rotatorio, che tuttavia, a differenza del caduceo, è sempre nello stesso verso. A nostro avviso, anche considerando che si tratta di una simbologia afferente al campo medico, il bastone di Esculapio potrebbe alludere alla trapanazione del cranio: si tratta di una pratica chirurgica, e talvolta anche rituale, che già in tempi molto antichi – parliamo del Neolitico, se non addirittura del Mesolitico – era diffusa in varie parti del mondo (Bertonazzi 2018).
Conclusione
Questa dimensione originaria di Hermes come dio del fuoco – chiaramente espressa nell’Inno omerico a lui dedicato e confermata dal suo altrimenti inspiegabile rapporto con Hestia – da un lato consente finalmente di attribuire un senso logico a tutte le sue molteplici attribuzioni, dall’altro appare riconducibile alla primitiva eredità comune indoeuropea, il che ne conferma la grande antichità. La metodologia utilizzata in questo contributo consiste quindi in un nuovo esame critico delle fonti, e in particolare dell’Inno a Hermes, che pone la dovuta enfasi su alcuni aspetti a cui gli studi di settore non avevano ancora dedicato la giusta attenzione. La lettura comparata di queste testimonianze con elementi tipici di altre culture favorisce un approccio più ampio e trasversale alla questione nel suo complesso, sia sul piano diacronico che nella ricerca di consonanze mitologiche, antropologiche e storico-religiose.
Articolo originale in https://www.athensjournals.gr/mediterranean/2022-8-2-2-Vinci.pdf
Riferimenti bibliografici
Allan A (2018) Hermes. London-New York: Routledge.
Ampolo C (2005) Hestia/Vesta tra mondo greco e Roma (I). In E Greco (ed.), Teseo e Romolo. Le origini di Atene e Roma a confronto, Atti del Convegno Internazionale (Atene, 30 giugno-1 luglio 2003). Atene: Scuola Archeologica Italiana di Atene.
Arvanitis N (2010) Il Santuario di Vesta: la casa delle vestali e il Tempio di Vesta, VIII sec. a.C.-64 d.C.: rapporto preliminare. Pisa: Serra.
Barletta A (2013) La notte di Valpurga. Tricase: Youcanprint.
Barringer JM (2010) Zeus at Olympia. In JN Bremmer, A Erskine (eds.), The Gods of Ancient Greece: Identities and Transformation, 155-177. Edinburgh: Edinburgh University Press.
Baumbach M (2014) Helping Zeus by Tricking Him? Prometheus and the Poetics of Succession in Hesiod’s Theogony 538-541. Antike und Abendland 60(1): 21–36.
Bertonazzi F (2018) La trapanazione cranica nell’Antichità: alcuni casi nella letteratura medica e (forse) in un papiro greco. In N Reggiani, F Bertonazzi (eds.), Parlare la medicina: fra lingue e culture, nello spazio e nel tempo, Proceedings of the International Congress, University of Parma (September 5-7, 2016), 89–112. Milano: Mondadori Education SpA.
Bosi R (1995) Lapponi: sulle tracce di un popolo nomade. Firenze: Nardini.
Burton D (2015) The Iconography of Pheidias’ Zeus: Cult and Context. Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts 130(Jan): 75–115.
Carandini A (2015) Il fuoco sacro di Roma. Roma-Bari: Laterza.
Castagnoli F (1977) Cermalo. Mnemonsyne 30: 15–19.
Clackson J (2017) Etruscan Turms and Turan. Studi Etruschi 80: 157–165.
De Sanctis G (2005) Qui terminum exarasset… Studi Italiani di Filologia Classica IVS 3: 73-101.
del Basso E (1974) Virgines Vestales. Atti della Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli 85: 161–249.
Dumézil G (1977) La religione romana arcaica, con un’appendice sulla religione degli Etruschi. Trad. F Jesi. Milano: Rizzoli.
Ferrarin A (2000-2001) Homo faber, homo sapiens, or homo politicus? Protagoras and the Myth of Prometheus. The Review of Metaphysics 54(2): 289–319.
Friedman L (2002) Hestia, Hekate, and Hermes: An Archetypal Trinity of Constancy, Complexity, and Change. PhD Thesis. Carpinteria (California): Pacifica Graduate Institute.
Gjerstad E (1976) Pales, Palilia, Parilia. In K Ascani et al. (eds.), Studia Romana in honorem P. Krarup septuagenarii, 1–5. Odense: Odense University Press.
Humbert J (1967) Homère. Hymnes. Paris: CUF.
Jarczyk M (2017) Aspects of Myth in the Homeric Hymn to Hermes. Symbolae Philologorum Posnaensium Graecae et Latinae 27(3): 189–236.
Johnston SI (2002) Myth, Festival, and Poet: The Homeric Hymn to Hermes and its Performative Context. Classical Philology 97(2): 109–132.
Kajava M (2004) Hestia: Hearth, Goddess, and Cult. Harvard Studies in Classical Philology 102: 1–20.
Lewy H, Lewy J (1948) The God Nusku. Orientalia NS, 17: 146–159.
Lloyd-Jones H (2003) Zeus, Prometheus, and Greek Ethics. Harvard Studies in Classical Philology 101: 49–72.
Macedo JM (2020) Messenger of the Gods in Greek and Vedic. The Journal of Indo-European Studies 48: 77–85.
Maiuri A, Vinci F (2021) The Strange Moon of Hermes (The Anomaly of the Lunar Cycle in the Homeric Hymn to Hermes). Journal of Anthropological and Archaeological Sciences 6(2): 704–705.
Martini MC (2004) Le vestali: un sacerdozio funzionale al “cosmo” romano. Bruxelles: Latomus.
Miller JF, Strauss Clay J (eds.) (2019) Tracking Hermes, Pursuing Mercury. Oxford-New York: Oxford University Press.
Nissan et al. (2019) Reflected in Heaven. Part Two. MHNH 19: 87–166.
North HF (2001) Hestia and Vesta. In NW Goldman (a cura di), New Light from Ancient Cosa: Classical Mediterranean Studies in Honor of Cleo Rickman Fitch, 179–188. Francoforte sul Meno: Lang.
Panagiotidou O (2016) Asclepius: A Divine Doctor, A Popular Healer. In WV Harris (ed.), Popular Meicine in Greek-Roman Antiquity: explorations, 86–104. Leiden-Boston (Mass.): Brill.
Piccaluga G (1974) Terminus: i segni di confine nella religione romana. Roma: Edizioni dell’Ateneo.
Stockmeier P (1988) Hermes. In E Dassmann (ed.), Reallexicon für Antike und Christentum, XIV, 772–780. Stuttgart: Hiersemann, coll.
Toporov VN (1977) Le Hittite purulliḥa, le lat. Parīlia, Palīlia et leur sources balcaniques. In AA.VV., Recueil linguistique balkanique, 125–142. Moskva: Nauka.
Vanggard JH (1971) On Parilia. Temenos 7: 91–103.
Vergados A (2011) The Homeric Hymn to Hermes: Humour and Epiphany. In A Faulkner (ed.), The Homeric Hymns: Interpretative Essays, 82–104. Oxford-New York: Oxford University Press.
Vernant JP (1963) Hestia et Hermès. Sur l’expression religieuse de l’espace et du mouvement chez les Grecs. L’Homme 3 (3): 12–50.
Vernant J-P (1978) Mito e pensiero presso i Greci. (Mito e pensiero dei Greci). Tradotto da M Romano, B Bravo. Torino: Einaudi.
Vinci F, Maiuri A (2017) Mai dire Maia. Un’ipotesi sulla causa dell’esilio di Ovidio e sul nome segreto di Roma (nel bimillenario della morte del poeta). Appunti Romani di Filologia 19: 19–30.
Vinci F, Maiuri A (2019) Le Pleiadi e la fondazione di Roma. (Le Pleiadi e la fondazione di Roma). Appunti Romani di Filologia 21: 17–23.
Vinci F, Maiuri A (2021a) Le Pleiadi, Maia e il nome segreto di Roma. (Le Pleiadi, Maia e il nome segreto di Roma). In E Antonello, R Ronzitti (a cura di), “… in purissimo azzurro veggo dall’alto fiammeggiar le stelle”, Atti del XVIII Congresso annuale della Società Italiana di Archeoastronomia (24 ottobre 2018), 235–248. Padova: Università di Padova Press, 2021.
Vinci F, Maiuri A (2021b) Parallelismi tra Dante e Omero: il Messo celeste nel IX canto dell’Inferno. Appunti Romani di Filologia 23: 47–55.
Wildfang RL (2006) Rome’s Vestal Virgins. London-New York: Routledge.
Yona S (2014-2015) What About Hermes? A Reconsideration of the Myth of Prometheus in Plato’s Protagoras. The Classical Word 108(3): 359–383.
Felice Vinci, com.unica 4 dicembre 2024