Si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la celebrazione del “Giorno della Memoria”.  Aperta da un filmato a cura di RaiCultura, nel corso della cerimonia, condotta da Emma D’ Aquino, sono intervenuti la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, e il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. La Senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz-Birkenau, ha portato la sua testimonianza intervistata da due studenti. L’attrice Elena Sofia Ricci ha letto alcuni brani tratti dal libro “La farfalla impazzita – dalle Fosse Ardeatine al processo Priebke” di Giulia Spizzichino e Roberto Riccardi

Il discorso integrale del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

Sono di ritorno – come poc’anzi è stato ricordato – da Auschwitz, dove – insieme a molti Capi di Stato e rappresentanti nazionali provenienti da tanti Paesi, ma soprattutto da tutti quelli dell’Europa, che si riconoscono nella sua civiltà, dell’Europa unita anche in questa memoria, dall’Australia, oltre che, naturalmente, da Israele – ho partecipato alla cerimonia che ricorda l’ottantesimo anniversario dell’apertura dei cancelli del più grande campo di sterminio che la storia ricordi.

Luogo di morte per antonomasia, simbolo tetro e incancellabile, testimonianza dell’abomino di cui è capace l’essere umano quando abbandona il diritto, la tolleranza, il rispetto e si incammina sulla strada dell’odio, della guerra, del razzismo, della propria dignità, della barbarie.

Vi abbiamo vissuto ieri un evento storico, di straordinaria importanza, che tesse insieme, in un’unica tela, passato e futuro, memoria e responsabilità di oggi.

Un evento che ha espresso anche il significato di rinnovare un patto tra le nazioni e i popoli che, in tempi difficili come quelli che stiamo attraversando, in cui la violenza, l’aggressione, l’inimicizia, la guerra sembrano voler prendere il sopravvento, accende una speranza.

Auschwitz, con le recinzioni elettrificate, le minacciose torrette, le camere a gas, le ciminiere, i crematori…

Le crudeli selezioni, le percosse, la fame, il gelo, la paura, i criminali esperimenti medici…

Auschwitz provoca sempre infinito orrore, scuote le nostre coscienze, le nostre convinzioni. Genera angoscia, turbamento, interrogativi laceranti.

Non si va, non vi si può andare, come se fosse solo un memoriale di un’epoca passata, un sito storico oggi trasformato in un monumento alle vittime di tanta sofferenza. Da Auschwitz – smisurato cimitero senza tombe –  si torna ogni volta sconvolti.

Perché Auschwitz è il “non luogo” per eccellenza, una nebulosa, dove le coordinate spaziali si smarriscono e il tempo si ferma. Non è una parentesi, per quanto orribile. Alberga nel fondo dell’animo dell’uomo. È un monito insuperabile e, insieme, una tentazione che sovente affiora.

Lo sterminio nazista non nacque per un caso. Fu una macchina di morte lucidamente progettata da uomini – utilizzando i ritrovati della tecnica e una accurata organizzazione burocratica – per sopprimere uomini e donne innocenti, intere comunità, culture, popoli, considerati inferiori.

Ebrei provenienti da tutta l’Europa, uccisi a milioni. Rom e sinti, deportati politici, minoranze religiose, omosessuali, malati di mente e disabili. Persone che, secondo quella follia sanguinaria, non erano tali, non avevano diritto di esistere.

Un pensiero letale e mefitico prese forma di partito e, con il terrore e la propaganda, divenne regime. Arrivando a convincere milioni di cittadini, che la loro felicità, il benessere loro e della nazione, fossero ostacolati dalla sparuta presenza degli ebrei; e di altre piccole minoranze.

Padri di famiglia, donne devote, intellettuali apparentemente raffinati, borghesi e proletari, giovani e anziani, si trasformavano così in «volenterosi carnefici di Hitler», secondo l’efficace definizione di Daniel Goldhagen.

Come notò Sigmund Bauman, parlando dei totalitarismi del Novecento, le vittime di Hitler e di Stalin «furono uccise perché non rientravano, per una ragione o per un’altra, nel progetto di una società perfetta: […] un mondo comunista. O un mondo ariano, puro dal punto di vista razziale. Come quella delle erbe infestanti, la loro natura non poteva essere modificata. Esse non si prestavano per essere migliorate o rieducate. Dovevano essere eliminate…».

Auschwitz è il culmine di un sistema, punto d’approdo di un’ideologia barbara e disumana, l’ignobile frutto di un pensiero e di una mentalità piuttosto diffuse, che affondano le radici in secoli di pregiudizi, di razzismo, di antisemitismo, di paura del diverso, di rifiuto del dialogo, di teorie pseudoscientifiche di superiorità, di razza o di nazione, di filosofie ispirate alla violenza, alla sopraffazione, alla volontà di potenza e al dominio.

Auschwitz è la conseguenza diretta delle leggi razziste, ignominiosamente emanate anche in Italia dal regime fascista e della furia antiebraica nazista, di cui il regime fascista e la Repubblica di Salò furono complici e collaboratori, fino alla “soluzione finale”.

Auschwitz rappresenta l’abisso più profondo e oscuro mai toccato nella storia dell’umanità.

Un universo di orrore e di abiezione, che appartiene a quello stesso genere umano che oggi guarda a quella stagione con dolore, sconcerto, talvolta con la tragica indifferenza di chi pensa che si tratti di un passato che non può tornare.

L’entrata delle truppe dell’Armata Rossa nel lager nazista, avvenuta 80 anni fa, segnò l’arresto di quell’orrenda fabbrica di morte ma, come ci ha appena ricordato la senatrice Segre, non la fine dell’incubo. Moltitudini di prigionieri, obbligati a compiere a piedi, nel gelo, le terribili marce della morte, periranno per la fatica, la fame, gli stenti; oppure verranno uccisi brutalmente dalle guardie naziste.

Ma anche con la definitiva sconfitta del nazifascismo in Europa, con la ripresa delle democrazie, le ferite non si sono mai del tutto rimarginate.

Era arrivata la liberazione. Ma ombre, parole e fantasmi continuarono – e continuano – a generare inquietudine.

Sosteneva in quegli anni Primo Levi: «Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia».

Cominciava un’era di libertà e di solidarietà, ma il suo avvio era accompagnato da non piena consapevolezza degli orrori più perversi degli anni della guerra, da dubbi sulle prime notizie, talvolta da incredulità rispetto a quanto era avvenuto nei campi nazisti. 

Lo sa bene chi è sopravvissuto a quella tragica e disumana esperienza.

I superstiti hanno voluto essere, oggi, presenti in questo incontro di ricordo e sono riconoscente a Liliana Segre, Edith Bruck, Andra e Tatiana Bucci, Sami Modiano.

Sono con noi idealmente, seguendoci da casa, Goti Bauer e Gilberto Salmoni.

Desidero salutare ciascuna e ciascuno di voi, con il più grande rispetto e con immenso affetto. Ringraziandovi, ancora una volta, per la testimonianza, per l’impegno di memoria e di verità, per le parole preziose, che non sono mai di odio, di vendetta, ma di giustizia, di umanità, di speranza.

Testimoni e vittime di un orrore indicibile, avete portato il peso di sofferenze atroci, trovando dentro di voi la forza di raccontare, di condividere, di far ricordare. Avete costruito un ponte con le nuove generazioni, trasferendo coraggio, passione, amore per la libertà, ripulsa per l’ingiustizia e la sopraffazione.

Le vostre vicende sono incise, indimenticabili, nella storia della nostra Repubblica.

La sofferenza vostra e dei vostri cari, così come il sacrificio dei tanti caduti per la libertà, hanno plasmato lo spirito e la forma della nostra Costituzione, che è nata – e vive – per cancellare i principi, le azioni, le parole d’ordine del cupo dominio nazifascista, di cui il sanguinoso conflitto mondiale e i campi di sterminio furono gli esiti crudeli e inevitabili.

In luogo della predicazione della guerra d’aggressione, la Costituzione prevede la pace e la collaborazione internazionale.

Al posto della discriminazione e della persecuzione, la Costituzione promuove l’eguaglianza e la giustizia.

In luogo dell’oppressione, la libertà. Invece dell’indottrinamento e della propaganda che manipola la realtà sino alla menzogna, il confronto e il pluralismo.

Al contrario della fede cieca e dell’obbedienza incondizionata, la Costituzione prevede la democrazia, la partecipazione, le garanzie e i controlli.

Oggi questi principi, di umanità, di giustizia, di democrazia, di buon senso risaltano ancor di più nel loro valore.

L’invasione russa in Ucraina è avvenuta con slogan e giustificazioni di nazionalismo sciovinista e aggressivo, che appartengono a un passato condannato dalla storia. 

Così come il risorgente antisemitismo, una piaga in crescita, che respingiamo con forza: gli italiani di origine ebraica hanno dato un fondamentale contributo alla costruzione italiana ed europea, sono in casa propria, quella condivisa con tutti gli altri concittadini, liberi, protetti, rispettati e tali hanno il diritto di sentirsi. È la Costituzione a stabilirlo solennemente.

È doloroso e inaccettabile che vi siano ignobili insulti razzisti alla senatrice Segre, su quei social media che sono nati come espressione di libertà e che rischiano invece, sovente, di diventare strumento di violenza e di negazione di diritti. Occorre mettervi un argine. Sono reati gravi, che vanno perseguiti a tutela della libertà e della giustizia.

Allarma il ritorno di un linguaggio di disprezzo, di odio. Il pericolo di allentamento dei legami di comunità, il rischio di sfaldamento della tensione ideale, la risorgente volontà di dominio.

Ci preoccupano, a livello generale, l’astio predicato verso altri popoli, altre religioni, altre culture, e, tra gli altri fenomeni, la minaccia continua alla sicurezza e alla stessa esistenza del popolo di Israele, così come quanto – dopo l’orrore del 7 ottobre – è avvenuto di sconvolgente nella Striscia di Gaza, provocando la morte di tante migliaia di innocenti civili palestinesi.

La guerra genera lutti e macerie, la violenza produce violenza e nutre desiderio di vendetta. Bisogna avere il coraggio, la forza, la determinazione di spezzare le catene dell’odio. Diversamente non vi sarà mai pace e sicurezza.

Ci auguriamo che la recente tregua in Medioriente, che ha portato alla liberazione degli innocenti ostaggi israeliani rimasti in vita e a una cessazione delle ostilità, venga davvero rispettata e regga agli eventi successivi e alle spinte estremistiche e radicali in modo da trasformarsi in un processo di vera distensione, verso la soluzione dei “due Stati, due popoli”, l’unica in grado di cercare di dissolvere i giacimenti di odio che si sono ulteriormente accresciuti. 

Avvertiamo, più in generale, il rischio concreto che torni in auge, nella società così come nei rapporti internazionali, il nefasto criterio espresso dalle parole “mors tua, vita mea”, sempre foriero di tragedie. Avremmo invece bisogno, tutti e in ogni parte del pianeta, di una nuova stagione all’insegna del dialogo, della collaborazione, della comprensione.

Il destino di ogni persona e di ogni popolo, oggi, è talmente legato e interconnesso – basti pensare al cambiamento climatico, alla salute, alle migrazioni, all’economia al di fuori da regole nazionali o internazionali – da rendere necessarie misure planetarie per non perdere tutti, inesorabilmente.

Cari sopravvissuti,

Ci troviamo qui al Quirinale, con le più alte cariche dello Stato, non solo per ricordare, ma per ribadire solennemente il nostro comune e inderogabile impegno a non permettere che simili atrocità si ripresentino.

A impedire che l’odio, il terrore, l’inimicizia, la prepotenza, la mentalità di guerra prevalgano nuovamente.

Abbiamo fiducia nei giovani – a cui voi avete consegnato la vostra testimonianza di dolore e di impegno – rafforzando la loro sete di giustizia e di eguaglianza.

Abbiamo fiducia nei valori consacrati nella nostra Costituzione repubblicana, che respinge con fermezza le discriminazioni e l’intolleranza.

Abbiamo fiducia nella vigilanza attiva delle forze politiche e sociali che, al di là delle legittime differenze, sono unite nel ripudio delle parole e dei gesti di morte.

Non cediamo allo sconforto.

Abbiamo fiducia nel futuro dell’umanità, nella saggezza dei popoli, nella determinazione di tante donne e tanti uomini in grado di impedire con onestà e coraggio, che forze oscure possano prevalere sull’aspirazione naturale dell’umanità alla pace, alla giustizia, alla fratellanza.

Ripetiamo allora anche noi, con particolare determinazione in questi nostri giorni, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, nelle case e nelle piazze, quel grido forte e alto, che proviene, ogni giorno e per sempre, dal recinto di Auschwitz: «Mai più!»

com.unica, 29 gennaio 2025

Condividi con