Dalla Piazza Rossa alla Casa Bianca, in un libro-inchiesta di un giornalista inglese la storia segreta del rapporto tra il presidente americano e il capo del Cremlino

L’anno è il 1987. L’Unione Sovietica è in declino, ma il KGB è ancora il grande burattinaio dell’influenza russa nel mondo. È in questo contesto che Donald Trump, allora un semplice speculatore immobiliare di New York, arriva a Mosca su invito del governo sovietico. Il suo viaggio è interamente finanziato dal Cremlino e ogni suo spostamento è monitorato dall’Intourist, l’agenzia turistica statale, in realtà un’estensione dei servizi segreti. Luke Harding, pluripremiato inviato del “Guardian” ed ex corrispondente a Mosca del quotidiano inglese, nel libro inchiesta “Collusion, come la Russia ha aiutato Trump a conquistare la Casa Bianca” descrive questa visita come il momento in cui il Cremlino ha iniziato a “coltivare” Trump. Non c’è bisogno di arruolarlo ufficialmente. Basta costruire un rapporto, offrirgli affari, insinuare un senso di gratitudine.

“Trump era più giovane, più magro e ancora semplice speculatore immobiliare” spiega Harding nel libro. “Si sposta a Leningrado, oggi San Pietroburgo. Chi lo invita? Il governo russo, che paga il conto per l’intero soggiorno. E chi si occupa dei suoi spostamenti? La Intourist, l’agenzia turistica di Stato, che era un altro modo per dire KGB.” Trump, che all’epoca aveva ambizioni politiche ancora vaghe, torna negli Stati Uniti con un’idea fissa: vuole candidarsi alla presidenza e costruire un Trump Tower a Mosca. La sua fascinazione per il potere assoluto russo è già evidente.

Nei decenni successivi, Trump attraversa una serie di difficoltà finanziarie. I suoi casinò falliscono, le banche americane gli chiudono le porte. Ma i soldi russi e kazaki, quelli no, ci sono sempre a disposizione. Secondo Harding, capitali provenienti dall’ex blocco sovietico vengono riciclati attraverso le proprietà di Trump, tra cui il Trump SoHo Hotel di New York, costruito con fondi della Bayrock LLC, società legata a oligarchi russi. Uno dei personaggi chiave è Felix Sater, un mafioso russo con accesso diretto a Trump. Ma non è solo questione di soldi. Nel 2013, quando Trump organizza il concorso di Miss Universo a Mosca, il KGB – ormai ribattezzato FSB – potrebbe aver raccolto il famigerato “kompromat”, materiali compromettenti a sfondo sessuale che danno a Putin un’arma di ricatto sul futuro presidente americano. “Se l’Fsb dedicava tanta attenzione a un giornalista del Guardian,” racconta Harding, “quale tipo di sforzo può aver prodotto su Trump? Se hanno tentato di ricattarmi con un banale libro sul comodino, cosa avranno fatto con lui?”

A gennaio 2017, un dossier esplosivo curato dall’ex agente dell’intelligence inglese Christopher Steele sostiene che il Cremlino abbia coltivato e sostenuto Trump per anni. Secondo Steele, Mosca ha fornito supporto finanziario e mediatico a Trump, coordinando attacchi informatici per sabotare Hillary Clinton. Trump, ovviamente, liquida tutto come “fake news”, ma le indagini dell’FBI confermano molte delle accuse. Paul Manafort, stratega della campagna di Trump, è direttamente coinvolto. I suoi legami con oligarchi russi e con l’ex presidente ucraino filorusso Viktor Yanukovych sono innegabili. Il Congresso apre un’indagine, il procuratore speciale Robert Mueller avvia un’inchiesta, ma quando Trump vince le elezioni, il Russiagate diventa un caso politico senza precedenti.

Se il passato di Trump era solo sospetto, la sua politica da presidente non lascia dubbi. Ogni sua mossa sembra allineata agli interessi russi. Mentre è durissimo con gli alleati storici non gli sentiremo mai pronunciare una sola parola di critica nei confronti di Mosca. Ma, al di là delle parole sono i fatti che contano, soprattutto quelli che sono in questi giorni sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. E sono eloquenti. Elenchiamoli, almeno i più significativi:

  • La Nato: Trump mina la credibilità dell’Alleanza Atlantica, esattamente ciò che Putin desidera. “La NATO spaventa i russi, che nella loro storia hanno sempre subito l’aggressione occidentale,” scrive Harding.
  • La Cina: la guerra commerciale voluta da Trump indebolisce Pechino, ma finisce per favorire Mosca, che si consolida come fornitore energetico dell’Asia.
  • L’Ucraina: Trump blocca gli aiuti militari a Kiev e insiste per un accordo di pace che favorisce di fatto Putin. Putin non aspetta altro che qualcuno gli imponga la pace, ovviamente alle sue condizioni.
  • Le sanzioni: ogni tentativo del Congresso di imporre nuove sanzioni alla Russia viene ostacolato dalla Casa Bianca.

Trump non si limita a seguire una politica filo-russa: si comporta di fatto come un agente del caos, destabilizza l’Occidente, divide l’Europa, rafforza l’asse Mosca-Pechino.

Per capire meglio torniamo ancora indietro negli anni. Il 9 novembre 2016, Vyacheslav Nikonov, leader del partito di Putin, annuncia alla Duma la vittoria di Trump. La reazione è spontanea: un lungo applauso. È un momento rivelatore. Mosca ha vinto senza sparare un colpo. Con un semplice gioco di infiltrazione e manipolazione, ha installato alla Casa Bianca un uomo che condivide la sua visione del mondo. Harding scrive: “La Russia sta sovvertendo a proprio vantaggio l’ordine mondiale e la democrazia americana. È una questione che ci riguarda tutti.”

La Storia ci dirà se questo legame si interromperà o se, ancora una volta, la Russia ha giocato le sue carte meglio di tutti. Ma una cosa è certa: quella tra Trump e Putin non è una semplice amicizia. È una collusione strategica che sta ridisegnando gli equilibri globali.

Sebastiano Catte, com.unica 6 marzo 2025

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