Il cardinale delle periferie, Jorge Mario Bergoglio prima dell’ascesa al soglio pontificio

Un uomo solo tra i vicoli di Buenos Aires, in cerca di Dio nei volti dimenticati.
Buenos Aires era una città che camminava in bilico. C’era il rumore delle monete metalliche sui marciapiedi, i clacson, le urla dei venditori nei mercati del sud. E poi c’erano i silenzi. Silenzi che cadevano come una tenda sopra certi quartieri, quelli dove il sole non arrivava mai dritto, ma filtrava tra i fili della corrente tirati da un palazzo all’altro, dove l’asfalto cedeva il passo alla polvere e la vita si faceva ogni giorno più simile alla sopravvivenza. In quei quartieri, che i giornali chiamavano “barrios”, Jorge Mario Bergoglio camminava da solo.
Lo si poteva incontrare all’alba, col passo svelto, l’impermeabile leggero, la cartella nera sempre la stessa, come fosse l’unico oggetto in grado di contenere il peso del giorno. “È il cardinale”, dicevano alcuni. “È solo un prete”, rispondevano altri. Ma la verità è che non importava il titolo. El padre Jorge era uno di loro. Più che pastore, compagno. Più che superiore, fratello. Non abitava il palazzo dell’arcivescovado. Aveva scelto un appartamento piccolo a Flores, due stanze e una cucina. Cucina spoglia, una stufa vecchia, una tenda scolorita. Nessuno serviva il pranzo: cucinava da solo, con mani lente, gesti abituali. Diceva: “Il potere è un servizio. Chi non serve, non serve a niente.” E non era una battuta. Era una regola di vita. La sola che sembrava accettare.
Nel 2001, quando il Paese implose e le banche chiusero e la gente gridava nelle piazze e i presidenti cadevano uno dopo l’altro, lui scese in strada. Non fece comizi. Non convocò sinodi. Si presentò alle mense improvvisate con la tonaca arrotolata, servendo riso e lenticchie ai bambini. Visitava famiglie che avevano perso tutto. Si sedeva con gli anziani sotto i portici. Ascoltava più di quanto parlasse. “Se il vescovo non odora di pecora — diceva — è perché ha dimenticato dov’è il gregge.”
Non era un ribelle. Non alzava mai la voce. Ma ogni suo gesto sembrava un rifiuto calmo dell’ipocrisia. Prendeva la metropolitana. Pagava il biglietto. Leggeva i salmi in silenzio. Qualcuno lo riconosceva. Qualcun altro gli chiedeva: “Lei è quello che dice che Dio perdona tutto?” Lui sorrideva. “No,” rispondeva. “Sono quello che crede che Dio non si stanca mai di perdonare.”
Un giorno, durante una messa nella cappella di una masseria, il microfono non funzionava. Il caldo era feroce. Le finestre aperte portavano dentro il rumore dei motorini e dei cani. Si tolse la giacca. Si asciugò il viso con un fazzoletto consumato. Poi disse: “Se il microfono tace, parliamo più piano. La fede non ha bisogno di decibel, ma di mani aperte.” Quando un politico locale lo invitò a partecipare a una distribuzione di pasti, con tanto di fotografi e cronisti, Bergoglio arrivò prima dell’orario previsto, si sedette in fondo alla stanza e aspettò. Quando il politico entrò con il sorriso stampato e le telecamere accese, lui si avvicinò e disse, con tono lieve ma fermo: “Tu oggi vuoi dare da mangiare. Ma domani continuerai a farli morire di fame. Non si tratta di distribuire. Si tratta di restare.”
Restare. Questo verbo lo accompagnava sempre. Restare con chi non ha nulla, anche quando gli altri scappano. Restare anche nel dubbio, anche nella paura. Soprattutto nella paura. Perché lui, la paura, la conosceva bene. L’aveva conosciuta nei giorni della dittatura, quando alcuni confratelli furono arrestati, e lui li cercava, li difendeva, senza proclami. Aveva conosciuto la paura anche nel proprio corpo, quando da ragazzo gli avevano tolto un pezzo di polmone. Eppure, ogni mattina, davanti al Santissimo, lui stava. Un’ora intera. In silenzio. “La realtà è troppo grande per me. Solo se resto piccolo, posso capirla.”
A Natale, andava a benedire le case nei barrios. Bussava piano. Portava una candela, un sorriso, una parola. Un giorno, in una casa dove non c’era nulla — né albero né regali, solo un materasso per terra e una vecchia radio che gracchiava — una donna gli chiese: “Padre, lei crede davvero che Dio passi anche da qui?” E lui, senza pensarci, rispose: “Dio passa solo da qui. Il resto è scena.”
Quando fu chiamato a Roma per il Conclave, nel 2013, partì con una valigia piccola. Pagò il biglietto da solo, anche per il ritorno. Lasciò un biglietto scritto a mano alla parrocchia: “Torno presto”. Ma non tornò. O forse sì, ma da un altro balcone. Quello di San Pietro. Affacciandosi al mondo come se venisse da un sogno lungo decenni, sorrise timido e disse: “Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo.” Ma la fine del mondo, lui lo sapeva, era solo l’inizio. Era l’inizio di tutto ciò che conta davvero.
Juan C. Blanco, com.unica 21 aprile 2025