Padre marocchino e madre italiana: aveva nazionalità italiana Youssef Zaghba, 22 anni, il terzo terrorista della strage di Londra identificato dalle autorità (Repubblica). “Abbiamo sempre controllato le sue amicizie, ma da Internet gli arrivava di tutto”, racconta all’Espresso Valeria Khadija Collina, la madre del ragazzo. Dopo aver lasciato il Marocco, Zaghba aveva trascorso dei brevi periodi con lei in Emilia prima di trasferirsi a Londra: “Lì ha frequentato le persone sbagliate”.

Nel marzo 2016 Zaghba era stato fermato all’aeroporto di Bologna mentre cercava di prendere un volo verso la Turchia per poi dirigersi in Siria, intenzionato ad arruolarsi. Nel suo cellulare erano stati ritrovati foto e video di natura religiosa, ma nessun materiale che giustificasse un’incriminazione per terrorismo. Il suo nome era comunque stato segnalato come sospetto foreign fighter dalle autorità italiane, ma a quelle inglesi non risulta nel database (Corriere).

Quale tipo di risposta di fronte a casi di questo tipo? È necessario pensare a un nuovo modo per affrontare i cittadini italiani radicalizzati, che non possono essere espulsi, sottolinea oggi Lorenzo Vidino su La Stampa. Fino ad oggi – scrive – le espulsioni di soggetti radicalizzati sono state uno degli strumenti principali nel contrasto al terrorismo (49 effettuate dall’inizio dell’anno). Ma questo efficacissimo strumento, che rimuove dal suolo nazionale soggetti chiaramente radicalizzati prima che possano passare all’azione, non può essere applicato a uno Zaghba, a un Hosni o ad altri che hanno passaporto e cittadinanza italiana. Anche se Zaghba e Hosni fossero due eccezioni (ma è più probabile che no lo siano) occorre pensare a come affrontare casi di cittadini radicalizzati, la stessa problematica che ha messo in crisi l’antiterrorismo di tutta Europa. 

(com.unica, 7 giugno 2017)

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