I sostegni a Maduro e ai gilet gialli fanno temere la possibilità che nel governo italiano stia tornando la tentazione di preferire despoti e violenti ai nostri tradizionali alleati. L’analisi del direttore de La Stampa Maurizio Molinari.

In una delle settimane più lunghe e turbolente della nostra politica estera il Movimento Cinque Stelle è riuscito a creare una duplice frattura fra il governo italiano e gli alleati: sostenendo il presidente Nicolas Maduro in Venezuela si è allontanato da Washington e incontrando i leader dei gilet gialli ha innescato una seria crisi con Parigi. Tale duplice frattura nasce su questioni di valore, rischia di avere conseguenze strategiche e rispolvera una delle peggiori abitudini della Prima Repubblica.

Le questioni di valore hanno a che vedere con la presenza dell’Italia nella comunità delle democrazie. La Repubblica ne fa parte perché è nata dalla resistenza contro il nazifascismo nella Seconda guerra mondiale, ha condiviso nella Nato la sfida al comunismo sovietico durante la Guerra Fredda ed ha fondato e costruito l’Unione europea. Le democrazie non sono un monolite: hanno interessi e leader rivali ma su alcuni valori-chiave si distinguono e definiscono. Primo: il sostegno ai popoli che si rivoltano contro i despoti come il chavista Maduro. Secondo: ogni contrasto, anche il più aspro, viene gestito nel rispetto reciproco. Il governo gialloverde li ha violati entrambi, voltando le spalle all’oppositore venezuelano Guaidó quando la stragrande maggioranza dei Paesi Nato e Ue lo hanno riconosciuto, e scegliendo di schierarsi al fianco dei gilet gialli responsabili di gravi e ripetute violenze a Parigi.

Le conseguenze sono già palpabili: basta mettere piede in una riunione Ue o Nato per accorgersi del gelo che circonda i nostri rappresentanti, peraltro essi stessi a disagio nel difendere il sostegno a Maduro ed ai gilet gialli. Tali danni rischiano di diventare strategici perché schierarsi sul Venezuela con Mosca, Pechino, Teheran ed Ankara contro Washington, Londra, Parigi, Berlino e Madrid porta ad un isolamento che può avere prezzi assai più alti dell’aumento dello spread. Così come identificarsi con chi predica la guerra civile in Francia porta a relegarsi ad un ruolo di instabile appendice europea. Basti pensare che Germania e Francia sono i nostri primi due mercati per l’export, senza i quali l’economia nazionale subirebbe un letterale tracollo. Per non parlare della fiducia degli imprenditori, stranieri ed italiani, indebolita dall’immagine di un Paese che viola impegni e alleanze. E ancora: l’Italia del 2019 non può fare a meno degli alleati europei e nordamericani nella protezione dal terrorismo, nella ricerca scientifica, nel network del sapere, nella sicurezza energetica e sul mercato degli investimenti.

Immaginare di uscire dalla comunità delle democrazie per inseguire le più pericolose e bizzarre sirene sulla scena internazionale assomiglia molto al devastante errore compiuto da Hugo Chavez quando arrivando al potere a Caracas nel 1999 scelse di preferire L’Avana, La Paz e Teheran a Washington, Brasilia, Buenos Aires, Londra e Parigi. Il risultato è un Venezuela ridotto in miseria, dove scarseggiano latte e medicinali. Ma c’è dell’altro perché la tentazione di staccarsi da Ue e Nato da parte dei Cinquestelle – con la Lega spesso in bilico – evoca da vicino uno dei peggiori difetti della Prima Repubblica ovvero la tentazione di fare accordi, più o meno sottobanco, con dittatori e gruppi violenti. Tale caratteristica accomunava i maggiori partiti dell’epoca. Il Pci, più grande partito comunista d’Occidente, sostenne la sanguinosa repressione sovietica della rivolta ungherese nel 1956, tacque sui gulag, scese in piazza a favore di Fidel Castro, Ho Chi Min e qualsiasi altro despota anti-occidentale in circolazione ignorando le immani sofferenze dei popoli oppressi da quelle dittature o protagonisti di fughe epocali, dai «boat people» vietnamiti al «balseros» cubani. La Democrazia cristiana invece subiva il fascino dei dittatori arabi: nel 1970 subì dal colonnello Gheddafi l’espulsione di italiani dalla Libia e negli anni seguenti continuò a concedergli ogni sorta di ricatti, nel 1973 chiuse i cieli agli aerei Usa che portavano maschere antigas ai civili israeliani aggrediti da Egitto e Siria nella guerra del Kippur, e scelse poi di chiudere un occhio sul terrorismo arabo – anche quando insanguinò Fiumicino e Roma – fino alla crisi dell’Achille Lauro allorché, d’intesa con il Psi, fece fuggire gli assassini dell’anziano paraplegico Leon Klinghoffer accogliendo le richieste di Raiss come Ben Ali e Hosni Mubarak.

Questa pagina buia della vita della Repubblica si chiuse quando la rapida successione fra crollo del Muro di Berlino e Tangentopoli azzerò quella classe dirigente e quei partiti, portando alla nascita di nuove forze politiche nel centrodestra e nel centrosinistra diverse in tutto ma accomunate dalla volontà di essere protagoniste delle alleanze Ue e Nato. Ora i sostegni per Maduro e i gilet gialli fanno temere la possibilità che nel governo italiano stia tornando la tentazione di preferire despoti e violenti ai nostri tradizionali alleati. Sarebbe il danno più grave per l’interesse nazionale e i valori della Repubblica. E questo spiega perché il Quirinale, tanto sul Venezuela che sulla Francia, è intervenuto in maniera sufficientemente chiara da far comprendere ai partner che resta il garante strategico dell’adesione dell’Italia alle alleanze.

Maurizio Molinari, La Stampa 10 febbraio 2019

Condividi con