L’Internazionale è una canzone che viene subito associata alla Unione Sovietica, di cui fu in effetti l’inno Nazionale dal 1917 al 1944  prima di essere sostituita dalla musica del Generale Alexandrov, che è tutt’ora l’inno russo. In verità, anche se è in genere la canzone che i movimenti socialisti e comunisti di tutto il mondo, adottarono  nella loro un tempo adesione ideale e anche qualcosa in più, al Paese del cosi detto “Socialismo reale”, la sua origine è esclusivamente francese.

Lo scrittore, militante socialista Eugene Pottier che ne scrisse le parole, con le quali intendeva celebrare la Comune di Parigi del 1871, cui lui stesso era stato un entusiasta sostenitore e partecipante, parole che venivano però cantate sull’aria della Marsigliese e questo ancora quindici anni dopo quando lo stesso Pottier, che era un instancabile autore di versi rivoluzionari, poco prima di morire aveva scritto le parole di  una nuova canzone  sempre per celebrare la Comune, in particolare la cosi detta “Semaine sanglante” di cui lui stesso era uno dei “survivants” sopravvissuti: “Elle n’est pas morte” che aveva trovato la musica di un’aria di un compositore Parizot “t’en fai pas Niculas“ risultandone  quindi un refrain trascinante con il ritornello che faceva “Tout ça n’empêche pas, Nicolas, que la Commune n’est pas morte!” Probabilmente fu il maggior impatto di tale canzone con parole e musica  che non si rifaceva al troppo celebre e anche  al non più cosìrivoluzionario La Marsigliese, che indusse il compositore  Pierre De Geyter, due anni dopo, nel 1888, quando Pottier era morto da pochi mesi (nel novembre del 1887) a comporre per le parole una musica originale che è quella che tutti conosciamo e che a ragione può definirsi come il più genuino e accreditato  inno del socialismo, al di là di una singola nazione, ma come indicato dal suo stesso nome, di tutto il mondo.

In Italia l’Internazionale divenne famosissima ma la sua traduzione del testo fu parecchio dissimile all’originale: essa era stata oggetto di un concorso indetto dal giornale socialista l’Asino che aveva visto vincitore un certo Bergeret che probabilmente era il giornalista Ettore Marroni che usava spesso uno pseudonimo simile e anche se spesso fu oggetto di revisione, quel testo del 1901  è rimasto il più diffuso e a tutt’oggi cantato. Non è che in quell’inizio del XX secolo, canzoni del genere  erano sulla bocca di tutti: vigevano le feroci repressioni degli Stati Nazionali, la maggior parte monarchici  e probabilmente quelle più provocatorie e famose erano di stampo anarchico, quale ad esempio  la stupenda “Addio Lugano Bella” considerata appunto  l’inno degli anarchici,che era stato scritto da Pietro Gori, un avvocato anarchico militante, amico di Sante Caserio, l’uccisore del Presidente Francese Sidi Carnot, di cui lo stesso Gori aveva scritto appunto “la ballata di Sante Caserio” e che la stampa accusava addirittura di esserne l’ispiratore. Certo è che Gori  si era rifugiato a Lugano per sfuggire  alla polizia italiana per poi essere imprigionato e infine espulso anche da quel Paese, da cui le famose parole della canzone, il “cacciati senza colpa, gli anarchici van via”

Gori scrisse parecchie altre canzoni anarchiche e comunque di protesta ma nessuna raggiunse la notorietà e anche il livello musicale di “Addio Lugano bella”, d’altronde anche le altre canzoni con tali ispirazioni non erano granchè conosciute nell’Italia di inizio secolo, essendo come sopraccennato, oggetto di forte censura  e repressione: ci potevano essere delle sorte di ballate, tipo quella di Caserio o che inneggiavano a Bresci l’uccisore di Umberto I, che imprecavano contro  il Generale Bava Beccaris, quello delle famose  cannonate di Milano del ‘98, ma erano cantate quasi esclusivamente da militanti politici, anachici o socialisti di tendenza estremistica, il grosso, diciamo così, della protesta era semmai  incanalato verso  canzoni della tradizione popolare delle varie regioni del Paese, canti di lavoro, di sacrificio, di emigrazione del tipo “Maremma amara”  dove l’uccello che ci va perde la penna, “Sciur padrun da li beli braghi bianchi” che era un canto delle mondine del Vercellese, “mamma mia dammi cento lire”… che in america voglio andar, insomma canzoni non di partito, non di militanti politici, ma che solo con una certa forzatura potevano essere ascritte a ribellione o tanto meno rivoluzione.

Lo stesso doveva accadere durante la guerra di Libia, tra  tripudio di tricolori, sciantose che cantavano vestite da marinaretto “Tripoli bel suol d’amore” e i fasti al tramonto dei riflessi della Belle Epoque con le  sciantose del Cafè Chantant  gli  ufficiali in alta uniforme, le dame in landò:  tante canzoni, ma tutte molto lontane dal mondo dei poveri, dei diseredati e anche della protesta e della ribellione, che solo dopo la buriana della guerra troveranno una certa malinconica espressione “partono è vastimenti pe’ terre assai luntane” tra l’altro per la penna e la sensibilità di E.A.Mario l’autore de “La canzone del Piave” ed altre canzoni di impronta patriottica. 

(Mario Nardulli/ com.unica 22 luglio 2020)

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