Cambiare o morire lentamente!
Quando l’ideologia acceca, i problemi non si vedono. Un intervento di Giuseppe Arnò, direttore ed editore de La Gazzetta italo-brasiliana
Agli inizi degli anni ´90 Tangentopoli avrebbe dovuto realizzare la “disinfestazione” della malapolitica italiana o almeno questo è quello che hanno voluto farci credere! In realtà si è trattato solo dell’eliminazione di un determinato schieramento politico, non attraverso le regole democratiche, ma attraverso la politicizzazione di una parte della magistratura, tant’è che non sempre i processi di quell’epico periodo riuscirono a dimostrare la colpevolezza dei vari personaggi coinvolti. Molti di essi furono assolti, ma coperti d’ignominia nella vita e nella reputazione. Molti altri finirono tristemente i loro giorni nell’oblio generale o in esilio, come Craxi.
Era ciò che, in pratica, si voleva ottenere, ma gli effetti collaterali in termini di vite umane furono disastrosi: oltre quaranta le persone che si tolsero la vita a causa di quelle indagini. Ma la storia si ripete? Secondo alcuni è un assioma, secondo altri la storia non si ripete; sono gli storici che si ripetono. Noi, ad essere sinceri, concordiamo con Marx, allorché afferma: “I fenomeni storici accadono sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”.
E difatti siamo, a distanza di anni, alla farsa finale, che fa seguito alla tragedia di “Mani Pulite”: l’annuncio di Conte, che prevede la proroga dello stato di emergenza a tutto il 2020 e la forzata desecretazione dei verbali, sono solo la punta dell’iceberg, un piccolo esempio di come oramai, da noi, i rappresentanti delle istituzioni, oggi grazie all´emergenza e domani chissà con quale scusante, non seguono più le regole del buon senso e della democrazia, ma governano la res publica, se non in contrasto, quanto meno ai limiti della costituzionalità.
Più incisiva, in sostanza, appare essere la Camera Penale di Trieste e non solo, allorché dichiara che l’epidemia sembra stia divenendo un laboratorio per sperimentare forme nuove di governo contrarie ai principi costituzionali. In altre parole, ci troviamo con un governo che, in funzione dell’evoluzione dell’epidemia, tratta questioni d’interesse nazionale in edizione «poteri speciali», a furia di secretazioni (anche sulle tabelle Eurostat sulla crescita delle costruzioni manca solo l´Italia; per Palazzo Chigi l´informazione è riservata) e DPCM (atti che non vengono sottoposti ad alcun intervento di verifica da parte dell’organo legislativo).
E “Nel momento culminante del finale travolgente” – per dirla col compositore Ruggero Pasquarelli – la farsa si supera con Salvinopoli: i processi contro Salvini. Il voltafaccia di Italia Viva e del M5S, che adesso votano per processare Salvini per la vicenda Open Arms, la dice lunga sull´incoerenza partitica e sull’intreccio politica-giustizia. Non a caso l’autorevole Massimo Cacciari afferma che uno dei drammi della giustizia è, appunto, il suo intreccio con politica e giornalismo. Difatti alla politicizzazione di parte della magistratura si aggiunge, da un lato, la giudiziarizzazione della politica, ovvero l’ampliamento degli spazi di policy-making (elaborazione della linea guida sulle questioni più rilevanti per la società e la politica) delle Corti, e, dall’altro, il rapporto incestuoso di quest’ultima col giornalismo.
Vale la pena ricordare, a questo proposito, che manipolare le notizie a scopi politici non è più giornalismo, ma malcelata politica! Gli avvisi di garanzia per Conte e sei ministri, per la questionata gestione dell’emergenza “Coronavirus” e per la richiesta di archiviazione da parte della Procura romana al Tribunale dei Ministri, confermano le nostre preoccupazioni.
Ma, perbacco, non gioiamone! Oggi tocca a chi tocca, domani, probabilmente, a chi oggi si rallegra, a seconda dei biechi interessi degli oscuri “manovratori”, che decidono le sorti dei popoli e dei governi.
Certi si è che all’onesto cittadino questo machiavello, indipendentemente da chi sia il malcapitato di turno, di sicuro non va giù. Bisogna avere il coraggio di dire che in politica non tutto è possibile, avverte A. Camilleri. Tutto ha un limite. Soprattutto la pazienza! E chiaramente nessuno fa più caso a quanto affermava sul buon politico Niccolò Machiavelli, il fondatore della scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il Principe: “Il ministro deve morire più ricco di buona fama e di benevolenza, che di tesoro”.
Tant’è che la politica continua ad essere, spesso e volentieri, malapolitica, come lo era trenta anni addietro o ancora peggio. La malversazione, la corruzione, il peculato, l’appropriazione indebita e ogni altro reato contro il patrimonio sono all’ordine del giorno, oramai dappertutto. La Magistratura, che dovrebbe amministrare la Giustizia con indipendenza e autonomia, ha sofferto una mutazione genetica: da servizio a strumento di potere personale. Essa è sprofondata clamorosamente in una vergognosa crisi mai provata prima d’ora (vedasi inchiesta “Palamara”) e se il valore autentico dell’associazionismo e dell’autogoverno della stessa non riuscirà a epurarsi, per farlo sopravvivere si dovrà pensare inevitabilmente a un diverso modello di potere giudiziario, che riguadagni la fiducia dei cittadini.
Lo stesso dicasi per gli altri due poteri: il legislativo e l’esecutivo, evidentemente incapaci di espletare, come si conviene, i compiti istituzionali di loro competenza. Orbene, è tutto il sistema che è sbagliato!
Cambiare o morire lentamente: per accorciare le distanze tra politica e cittadini non basta cambiare solo la legge elettorale o ricorrere a un qualsiasi marchingegno legislativo. La politica esiste sin dall’inizio dei tempi. Già Aristotele e Platone avevano un’idea chiara sul funzionamento dello Stato e della politica. Il primo definì la politica come l’amministrazione della polis per il bene di tutti; per il secondo, l’esercizio del potere non costituiva affatto un privilegio materiale; tale funzione era demandata ai filosofi perché solo loro avevano la conoscenza necessaria per poter svolgere un compito tanto delicato, il cui obiettivo finale era il bene comune.
La politica col tempo ha però perso il lustro originario e nella sua lunga evoluzione si è dimostrata contaminante e contaminabile. Essa, oramai, viene usata ad arte per rafforzare il potere e la già enorme ricchezza accumulata nelle mani di pochi “Signori”. Nel decorso degli anni potrà cambiare il nome di questi ultimi, ma il problema continuerà a rimanere nella sua esiziale gravità in quanto, se è vero che la colpa è del sistema, è pur vero che i comportamenti sono personali.
Ciò stante, se i cattivi leader, per come è chiaro, non hanno interesse a cambiare, vanno cambiati dal popolo, che ha il potere e il diritto di riservare per sé e per le future generazioni un’esistenza migliore.
È quanto, in pratica, sostiene lo scrittore ed economista Peter Druker, allorché afferma: “Se i leader non sono in grado di rompere con il passato, di abbandonare le logiche di ieri, non saranno in grado di creare il domani”. Ma dove sono i nostri leader? I grandi statisti, ahinoi, rimarranno solo un ricordo: “La morta gente, o epigoni, fra noi non torna più! (Carducci)”. E il popolo? Che si arrangi! Solo che questa volta, ve lo assicuriamo, non ci sarà Mosè a salvarlo.
In molti si domandano: la nostra Costituzione è ancora attuale? No, va cambiata e principalmente, riteniamo, per metterci alle spalle 73 anni di storture, che non stiamo qui ad elencare! Le relative procedure, è vero, sono lunghe e complesse (di esse si occupano gli att.138 e 139), ma siamo giunti al capolinea: cambiare o morire lentamente!
A tal proposito ci viene in mente Marco D’Antonio, uno dei maggiori costituzionalisti, direttore dell´ufficio studi della Camera dei deputati e autore di un libro edito nel 1977 – La costituzione di carta – in cui afferma a chiare lettere: «La costituzione è morta». D´Antonio denuncia nella sua opera, tra l´altro, una degenerazione che favorisce più gli abusi che l´efficienza dei servizi, nonché l´estrema politicizzazione del potere giudiziario. C´è poi da considerare che dal 1977 ad oggi la situazione è esponenzialmente peggiorata. E allora?
Si rendono quindi necessari un nuovo atto normativo fondamentale, che definisca la natura, la conformazione, l’attività e le regole dell’ordinamento giuridico di uno Stato di diritto, e nuove concezioni politico-giudiziarie, fondate su norme imperative di coerenza e responsabilità, che rigorosamente tutelino una diversa strutturazione della società e di chi la governa. Queste misure rappresentano le uniche panacee del nefasto “male” che attualmente ci opprime. “Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce” – Pablo Neruda. L’allusione è trasparente.
Orbene, per scoprire la falsa democrazia delle mascherate, del terrorismo psicologico e pseudosanitario basta considerare che coloro che hanno imposto la chiusura e l’isolamento sono gli stessi che vogliono gli immigrati liberi di sbarcare e di muoversi per ogni dove, mentre l’apparato che la rappresenta tende a omologarci e spersonalizzarci subdolamente sempre di più, con la benedizione di Bruxelles e di coloro che stanno ancora più in su.
L´UE, poi, per quello che serve, (da quando ne facciamo parte siamo andati a passo di gambero: se nel 2014 il PIL tricolore risultava dell’1,9% al di sotto di quello medio dell’Unione Europea, nel 2015 lo scarto è peggiorato, raggiungendo il 3%, mentre nel 2001 il PIL pro capite italiano superava quello medio europeo del 18,8%.), è meglio che si riformuli di sana pianta o che si danni, ma, vivaddio! In quest´ultimo caso, senza di noi. Siamo nel caos, che fare?
“Ordnung muß sein” (Deve esserci ordine)! Questa tipica e opportuna espressione tedesca ci ricorda che a tutto c’è un limite, perché possa regnare l’ordine ed evitare il peggio. “Guardi là fuori. Conosce il gioco. Disordini, guerra… Il passo è breve.” – Alexander Pierce.
Quando l´ideologia acceca, i problemi non si vedono!
La nostra, sia ben chiaro, non è l’apologia di un pensiero politico, è l’amara disamina della realtà storica; non siamo interessati a difendere una determinata ideologia, ma solo ad analizzare le vere cause che ci hanno ridotti ad essere l´ ultima ruota sgangherata del carro “Europa”. Siamo per la democrazia intesa come potere del popolo, per il popolo. Siamo per la libertà e la pace, la giustizia e la parità dei diritti. Siamo decisamente contro i “pieni poteri” da qualunque parte essi vengano invocati o assunti.
Comunque, né potremmo difendere alcuna linea politica, perché è tutta la politica, intesa come scienza e arte di governare, che ha clamorosamente fallito nel suo insieme. Essa è stata infingarda e assente, ha preferito raccogliere il consenso più ampio possibile, al momento, per beneficio proprio, dimenticando che, amministrando allegramente, senza fare gli interessi del popolo e del Paese, si arriva al punto in cui ci troviamo, con un pauroso indebitamento di oltre 2.500 miliardi, ovvero 41.000 euro per ogni contribuente, che ha generato il degrado, il declino e la crisi, ipotecando il futuro di molte generazioni e spingendole – di conseguenza – tra le braccia dei pifferai magici del populismo di turno. E che populismo! Quello imbonitore e non di certo quello illuminato, che – perlomeno – scavalca le ideologie, rinnega la globalizzazione per come si è sviluppata e si propone di rinnovare valori, ideali e classi politiche!
Utopia e Distopia
“A Taprobana (Sri Lanka), in una città fortificata e inespugnabile, costruita su un colle, esiste una società felice, che non conosce conflitti interni, corruzione, inimicizia, invidie, tradimenti o fame”. È “la città del sole”, luogo inesistente, immaginato e descritto da Campanella nell’omonimo dialogo, come esempio di organizzazione politico-sociale perfetta. L’opera di Tommaso Campanella ci descrive l’immaginario, l’utopia, ciò che vorremmo fosse. In contrapposizione citiamo il romanzo fantascientifico di Orwell “1984’, che ci prospetta l’opposto, la distopia (utopia negativa), ciò che, invece, non vorremmo fosse. Orwell presenta una società totalitaria in cui il “Grande fratello”, l´occhio che vede tutto, controlla il nostro modo di essere, la coscienza e la libertà dei cittadini; inoltre inscena uno Stato brutale e in declino a causa dell’evoluzione tecnologica destinata al servizio del male.
E qui siamo noi! Tutti attori di un film distopico che, non potendo contare sull’eroe salvatore dell’umanità, come succede in cinematografia, fatichiamo a sopravvivere nell’inferno quotidiano, alla cui realizzazione abbiamo contribuito con il nostro impecorimento, per poi morire lentamente per gli stenti e l’inedia nel nostro Paese, tradito, svilito e impotente. Sorge spontanea una domanda: C’è qualche speranza di salvezza? Rispondiamo con una citazione di Lewis: “Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale”.
Epperciò: Cambiare o morire lentamente!
Giuseppe Arnò, com.unica 2 settembre 2020