Pubblicata la seconda edizione del report Istat. Cresce la diffusione della vendita di beni o servizi mediante il proprio sito web: ora coinvolge il 17,4% delle imprese.

Tra il 23 ottobre e il 16 novembre 2020, è stata condotta dall’Istat la seconda edizione della rilevazione “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19” con l’obiettivo di aggiornare le informazioni raccolte nella prima edizione e consentire nuove valutazioni in merito agli effetti della pandemia sull’attività delle imprese e le loro prospettive. Nel report sono state diffuse tempestivamente a cittadini, operatori economici e decisori pubblici, evidenze statistiche di elevata qualità su come le nostre imprese stanno vivendo questa difficile fase della storia del Paese, con particolare riferimento all’impatto economico, finanziario e sulle prospettive future.

La ricerca studio mette in luce che il 32,4% delle imprese (con il 21,1% di occupati) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi. La diffusione della vendita di beni o servizi mediante il proprio sito web è quasi raddoppiata, coinvolgendo il 17,4% delle imprese. Nonostante la crisi, il 25,8% delle imprese (che occupano il 36,1% degli addetti) è orientata tuttavia ad adottare strategie di espansione produttiva.

Nel report dell’Istat una specifica attenzione è stata data alle conseguenze che l’emergenza sanitaria ha avuto sull’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese, così come all’importanza per le imprese delle misure adottate fino a giugno 2020. I quattro quinti delle imprese oggetto di indagine (804 mila, pari al 78,9% del totale) sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 189 mila (pari al 18,6%) appartengono al segmento delle piccole (10-49 addetti) mentre sono circa 22 mila quelle medie (50-249 addetti) e 3 mila le grandi (250 addetti e oltre) che insieme rappresentano il 2,6% del totale. Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 29,3% nel Nord-ovest e il 23,4% nel Nord-est), il 21,5% al Centro e il 25,9% nel Mezzogiorno.

Nel corso della rilevazione, il 68,9% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività, il 23,9% di essere parzialmente aperta – svolgendo la propria attività in condizioni limitate in termini di spazi, orari e accesso della clientela. Il 7,2% ha invece dichiarato di essere chiuso: si tratta di circa 73 mila imprese, che pesano per il 4,0% dell’occupazione. Di queste 55 mila prevedono di riaprire mentre 17 mila (pari all’1,7% delle imprese e allo 0,9% degli occupati) non prevedono una riapertura. L’85% delle unità produttive “chiuse” sono microimprese e si concentrano nel settore dei servizi non commerciali (58 mila unità, pari al 12,5% del totale), in cui è elevata anche la quota di aziende parzialmente aperte (35,2%). Le attività sportive e di intrattenimento presentano la più alta incidenza di chiusura, seguite dai servizi alberghieri e ricettivi e dalle case da gioco. Una quota significativa di imprese attualmente non operative si riscontra anche nel settore della ristorazione (circa 30 mila imprese di cui 5 mila non prevedono di riprendere) e in quello del commercio al dettaglio (7 mila imprese).

Il 28,3% degli esercizi al dettaglio chiusi non prevede di riaprire rispetto all’11,3% delle strutture ricettive, al 14,6% delle attività sportive e di intrattenimento e al 17,3% delle imprese di servizi di ristorazione non operative. Tra le imprese attualmente non operative, quelle presenti nel Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva: il 31,9% delle imprese chiuse (pari a 6 mila unità) prevede di non riaprire, rispetto al 27,6% del Centro, al 23% del Nord-ovest e al 13,8% del Nord-est (24% in Italia).

com.unica, 17 dicembre 2020

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