Un vero successo la sesta edizione del Premio Letterario internazionale “L’Anfora di Calliope”

TRAPANI – La premura e la gentilezza nell’accoglienza in Sicilia hanno il volto e gli occhi briosi di Giovanni, la persona che Giuseppe Vultaggio ha incaricato d’attendermi all’aeroporto. La facondia e il garbo di lui sono il primo segno della bellezza di questa terra straordinaria, incrocio di civiltà millenarie e crogiolo di antiche culture che qui si fondono nell’indole siciliana. La conosco quest’isola di meraviglie, e la sua gente così cortese verso l’ospite, per un’assidua frequentazione fin dagli anni della mia giovinezza. Mi mancava, però, di visitare questa parte di Sicilia che da San Vito lo Capo scende a Trapani, affacciando sul Tirreno dalle acque color cobalto. L’occasione me l’ha data l’invito ricevuto da Giuseppe Vultaggio, poeta ed infaticabile operatore culturale, presidente dell’Associazione L’Anfora di Calliope, che dal 7 al 9 aprile tiene ad Erice l’omonimo Premio Letterario internazionale. Un Premio di crescente prestigio alla cui presidenza onoraria vede una personalità insigne della cultura umanistica, Hafez Haidar, poeta e scrittore insigne, libanese d’origine ed italiano d’adozione, candidato al Premio Nobel per la Pace, per via dell’intensa sua opera a favore del dialogo tra religioni e culture, e candidato al Nobel anche per la Letteratura, a motivo del rilevante corpus di liriche, romanzi e saggi che connotano la sua ricca biografia.

Attraversiamo in auto il centro urbano di Trapani e già all’altezza di Casa Santa la strada serpeggiando s’inerpica verso Erice, tra pareti di roccia a picco e lo smeraldo delle erbe punteggiate di vivaci fiori di campo. Dodici chilometri di tornanti aprono squarci d’incanto sul mare, salendo dal piano fino al borgo arroccato su un possente sperone di roccia alto 751 metri. Si arriva infine lassù, incontrando il rigoglioso bosco di lecci che contorna l’abitato sul lato orientale. La strada, solcando le frescure del bosco, s’apre infine in uno slargo assolato e s’incunea nel borgo, superando l’alta cinta muraria e il sesto acuto della Porta Trapani. Le strade sono strette, lastricate a quadrati contorni di pietra bocciardata, riempiti di scaglie lapidee e ciottoli, in una compatta tessitura urbana d’architetture gradevoli, che il tempo e il sole hanno colorato di luce appagante e talvolta di muschi radenti e grigi licheni, che disegnano sui muri un gioco cangiante di tinte e ombrature. Giovanni, che di cognome fa Grammatico e più ericino non si può, mentre mi mostra con malcelato orgoglio le stupefacenti fattezze del duomo e della torre, s’infila con perizia sicura nel dedalo di viuzze, lambendo i muri delle case, fino a lasciarmi sulla porta dell’Elimo, un gioiello d’albergo ricavato in un antico palazzo salvaguardato nelle finiture d’epoca, negli apparati decorativi interni e negli arredi. Dalla finestra del mia camera posso guardare la stupefacente fuga di tetti e l’intrico di terrazze, mentre l’orizzonte s’imperla del luccichio delle saline a sud di Trapani, lungo la costa che scende verso Marsala.

C’è il tempo stamane d’ammirare il paesaggio da questo impareggiabile balcone naturale. Dal parapetto del viale che da Porta Trapani conduce a alle Torri del Balio mi soffermo incantato da tanta meraviglia. Oggi è una giornata di sole splendente, tiepido, il mare è calmo d’azzurro intenso. Da quassù l’impianto urbano di Trapani si vede nella sua distesa a forma di falce, come vuole l’antico nome Drepanon dato dai Greci. L’abitato si dilunga a punta fino al porto, poi rientra e si distende verso le saline. Il suo apice proteso nelle acque divide due mari, il Tirreno a nord che lambisce di bianche risacche i promontori di monte Cofano e più a nord di San Vito lo Capo, nitidamente chiari all’orizzonte; verso sud il Mediterraneo. Di fronte, neanche tanto in lontananza, il netto profilo delle isole di Favignana, Levanzo e più dietro Marettimo, le più grandi dell’arcipelago delle Egadi che tra altre piccole e i diversi scogli ne conta una decina. Intanto s’approssima l’ora del primo appuntamento, alle dieci del venerdì 8 aprile, presso l’Istituto Alberghiero “Florio”, insediato nell’antico Palazzo Sales, nel cuore di Erice. Rientro nel borgo salendo per via Vittorio Emanuele, trapuntata di caratteristiche botteghe artigiane – ceramiche e tappeti tipici -, graziosi negozietti, minuscoli caffè, trattorie e pasticcerie. Frequente l’incontro di chiese, grandi e piccole, alcune incastonate tra le mura delle abitazioni, a punteggiare una presenza di templi, monasteri e conventi ragguardevole per un piccolo centro come Erice, gran parte di pregevole impianto e dignitose architetture (chiese di S. Martino, S. Francesco, S. Giovanni, S. Cataldo, S. Pietro. S. Alberto, S. Teresa, ed altre). Se ne contano a decine, anche all’esterno del centro urbano. Passando per piazza San Domenico, dove affaccia l’omonima chiesa ora adibita Centro di cultura scientifica “Ettore Maiorana” fondato nel 1963 dal fisico ericino Antonino Zichichi e dove si tengono i corsi tenuti spesso da scienziati insigniti del Nobel, scendo verso Palazzo Sales.

Il programma prevede l’incontro degli studenti con Margherita e Maurizio Toffa, genitori della giornalista Nadia Toffa, deceduta tre anni fa per un tumore cerebrale, diventata assai popolare per il suo talento e per la qualità delle inchieste realizzate per il programma tv “Le Iene”. Con grande coraggio e dignità Nadia ha vissuto la terribile esperienza della sua malattia, senza mai perdere il sorriso, lasciando particolarmente alla madre il compito non di piangere la sua morte, ma di far conoscere la sua gioia di vivere e i suoi scritti attraverso una fondazione, nata nel 2019, i cui proventi sarebbero poi andati alla ricerca scientifica, alla solidarietà sociale e a campagne di protezione ambientale. Una missione che Margherita e Maurizio hanno raccolto e ne hanno fatto ragione di vita, pubblicando diversi libri di Nadia, realizzando numerose iniziative ed eventi pubblici, raccogliendo fondi poi donati per realizzare il Reparto di Onco-ematologia pediatrica dell’ospedale SS. Annunziata di Taranto, sostenendo la ricerca all’Istituto neurologico “Carlo Besta” di Milano, creando strutture di recupero per piccoli malati oncologici ed altre iniziative solidali. Margherita e Maurizio sono seduti accanto alla lavagna. Giuseppe Vultaggio con brevi pennellate illustra la vita e il valore civile di Nadia Toffa, la sua tenacia e la sua bravura, la voglia di conquistare con l’impegno dello studio e della preparazione professionale il traguardo, poi raggiunto, di diventare una provetta giornalista d’inchiesta. E che inchieste le sue, anche in posti terribili di veleni e pericoli, come la Terra dei fuochi, accanto a don Maurizio Patriciello, e tante altre! Insomma, un esempio per tutti i giovani, che la ricordano per il suo valore e la travolgente simpatia.

Di Nadia poi parla la madre Margherita. Ne dà una testimonianza bella e delicata, anche sul tempo doloroso della malattia, durante il quale una confidenza profonda ha condensato un passaggio d’eredità morale innaturale, all’incontrario, dalla figlia a sua madre. Ne è scaturita per Margherita una missione d’amore, come quell’amore che sempre Nadia ha provato verso per gli ultimi, i senza voce. Una missione che ha fatto nascere la Fondazione Nadia Toffa, che genera amore operoso e gesti concreti di solidarietà. Quasi a chiusura dell’incontro Vultaggio chiama chi scrive a dare una testimonianza. Parlo ai ragazzi della bellezza della Sicilia, del privilegio dei siciliani d’esservi nati in una terra crocevia di culture. Parlo della ricchezza dell’Italia, il Paese più bello al mondo, e di quale immensa fortuna siamo destinatari noi italiani. Una terra la Sicilia, e un Paese la nostra Italia, che dobbiamo amare sopra ogni cosa. Come l’amano quegli 80 milioni di italiani dell’altra Italia, gli emigrati, verso i quali va la nostra gratitudine, soprattutto per come onorano in ogni angolo del mondo la loro Patria. C’è da sperare che la storia dell’emigrazione italiana non sia più trascurata, ma diventi finalmente parte della Storia d’Italia. E che l’Italia dentro i confini conosca e riconosca quella fuori i confini in tutto il suo valore sociale e culturale. Parlo infine di Nadia, una donna bella dentro e fuori, tenace e generosa, una figura da prendere davvero ad esempio piuttosto che qualche falso mito, quale talvolta eleggono a modello i ragazzi e i giovani d’oggi. Molte le domande rivolte dai ragazzi a Margherita, a conclusione d’un incontro denso di emozioni.

Alle 11:30 si parte per Casa Santa, popolosa frazione di Erice alla periferia di Trapani. Si va all’Istituto “S. Calvino-G.B. Amico”. Altro incontro con gli studenti sul tema “Non fate i bravi”, come il titolo di un bel libro di Nadia Toffa. Dopo il saluto della dirigente scolastica, l’introduzione di Giuseppe Vultaggio poi le intense testimonianze di Margherita e Maurizio Toffa. Ho portato anch’io un pensiero conclusivo, richiamando della frase di Nadia “Non fate i bravi”, un’esortazione ai giovani a non essere conformisti. Ho sottolineato l’autenticità dell’impegno cristiano di Nadia. Paolo VI diceva che “…l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”. E Nadia è stata una straordinaria testimone nella sua breve vita, una donna che aveva il dono della “parresia”, ossia della verità testimoniata sempre e ad ogni costo. L’incontro si è chiuso con un toccante video approntato da Vultaggio con immagini di Nadia e brani tratti dai suoi scritti, autentiche massime di vita che invitano a “non sprecare il tempo” e a vivere ogni giorno intensamente, pensando a chi ha più bisogno. Nel pomeriggio, libero da impegni, faccio un bel giro alla scoperta di Erice, cominciando dal suo punto più suggestivo che, tra torri castello e merlature, strapiomba con la vista verso Trapani e il mare. Ci si va verso il Balio percorrendo viale Conte Pepoli. Secondo Tucidide, storico ateniese, Erice venne fondata dagli esuli fuggiti da Troia, arrivati dal Mediterraneo ed insediatisi sulla sommità del monte, dando poi vita al leggendario popolo degli Elimi. Virgilio cita Erice nell’Eneide, quando Enea la tocca in due occasioni: la prima per la morte del padre Anchise, un anno dopo per i giochi in suo onore. Erice, secondo gli storici, insieme a Segesta era la città più importante degli Elimi, in particolare era la capitale religiosa. Durante la prima guerra punica il comandante cartaginese Amilcare Barca ne dispose la fortificazione con possenti mura, trasferendo a valle parte degli ericini che fondarono l’odierna Trapani. In epoca successiva i Romani vi venerarono la “Venere Ericina“, la prima dea della mitologia romana, a somiglianza della greca Afrodite.

Il Tempio di Venere era eretto nel luogo più alto della montagna, punto di riferimento per tutti i marinai del Mediterraneo che, guidati dal fuoco sacro alimentato dalle ancelle, vi giungevano per rendere omaggio alla dea. Sui resti di quel tempio nel XII secolo i Normanni edificarono il Castello di Venere, oggi uno dei monumenti simbolici della graziosa cittadina. Quel suggestivo luogo, insieme alle due torri, è davvero una terrazza dove poter contemplare la magnificenza del paesaggio, del mare, delle Egadi, della città di Trapani e del territorio costiero che fugge a sud verso Marsala.

È una vista che trattiene il fiato per la suggestione. Magnifico anche il Parco del Balio, con i busti dei personaggi storici del luogo, quasi numi tutelari di Erice. In primis Nunzio Nasi (1850-1935): “Luminare di sapienza politica al servizio della democrazia, interpretò le istanze e difese gli obliati diritti della Sicilia, che tenace e fedele ne visse il dramma e conclamò l’innocenza al tempo grigio della bufera. Persecuzioni e calvario lo innalzarono nell’opinione del mondo”, così l’epitaffio. Altre figure di rilievo campeggiano nel parco, quali Giuseppe Pagoto (1875-1971), letterato e storico; P. Giuseppe Castronovo, predicatore, storico e archeologo; Ugo Antonio Amico (1831—1917), poeta e umanista, Antonio Cordici (1586-1666), padre della storia ericina, poeta, archeologo e defensor civitatis; Vincenzo Adragna (1928-1999), storico ericino. Intrigante da questo parco la vista del borgo – Erice è annoverato nel Club dei Borghi più belli d’Italia – nel quale campeggia in primo piano la Chiesa madre di San Giuliano con il robusto campanile. A sera ricevo la visita dell’amico Salvo che giunge da Salemi, un incontro che finisce in agape fraterna al ristorante La prima Dea.

Sabato 9 aprile vago senza una precisa meta tra le viuzze del borgo, ciascuna di esse offre dettagli architettonici e curiosità. Fino alla chiesa del Carmine, di fronte alla quale s’apre un’altra Porta del borgo, del Carmine appunto. Una lunga scalinata in pietra grezza scende a destra della Porta verso il Quartiere spagnolo. Costeggiano, a sinistra, le ciclopiche mura elimo-puniche, risalenti all’VIII-VI secolo a.C. Enormi pietre squadrate innalzano possenti mura ben conservate, due metri e più di spessore, con intervalli di bastioni e stretti varchi. Ai piedi della scalinata c’è Porta Spada e la chiesa di Sant’Orsola (XV sec.), più in là S. Antonio Abate (XIII-XV sec.) e il Quartiere spagnolo. Le mura elimo-puniche da Porta del Carmine si dispiegano per altri 500 metri lungo via Luigi Rabatà, fino all’altezza del Real Duomo e della Torre campanaria. Secondo la tradizione il duomo fu innalzato ai tempi dell’imperatore Costantino, nel IV secolo d.C. Ciò che oggi si può ammirare fu edificato nel 1314 da re Federico III d’Aragona, con materiale di risulta del tempio di Venere Ericina. Rimaneggiato più volte nel corso dei secoli, nel 1853 subì un crollo interno. Dopo dieci anni il duomo rinacque nelle splendide forme oggi ammirabili, prezioso esempio d’architettura neogotica. La vicina torre, costruita alla fine del Duecento, è alta 28 metri ed impreziosita da monofore e bifore, raggiungibile nella sommità con una scala interna di 108 gradini. L’interno del duomo, a tre navate, ha gli altari laterali arricchiti da dipinti e arredi significativi, con una parte della navata sinistra destinata a museo di paramenti e oggetti sacri.

Nel primo pomeriggio giunge da Palermo Giuseppe Di Franco, presidente del Centro Studi Federico II. Mezz’ora di piacevole colloquio davanti ad un caffè, in un locale adiacente la chiesa di S. Alberto. Parliamo degli impegni internazionali che presto il Centro metterà in cantiere a Roma, New York, Bordeaux e Bratislava. Alle 15:30 si va all’auditorium di Palazzo Sales per la cerimonia di premiazione dei vincitori del Premio Letterario internazionale “L’Anfora di Calliope”, giunto alla sua sesta edizione. Il Premio ha visto la partecipazione di 250 autori in concorso con oltre trecento opere, pervenute da tutta Italia e dall’estero (Messico, Perù, Spagna, Stati Uniti, Svizzera e Venezuela). La cerimonia è aperta da una bella riflessione di Debora Vultaggio sul valore della partecipazione al Premio di giovani autori, quindi dal saluto del sindaco Daniela Toscano, che manda ad Hafez Haidar, impossibilitato ad esser presente, un messaggio di amicizia e stima da Erice, città della Pace e della Scienza. La cerimonia prende quindi il largo con l’intervento introduttivo del presidente del Premio, Giuseppe Vultaggio, che con grande perizia ha poi condotto la manifestazione. Accanto la Presidente della Giuria Caterina Guttadauro La Brasca, che ha vergato con cesellatissime motivazioni dei premi ai vincitori.

Goffredo Palmerini, com.unica 19 aprile 2022

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