Il punto su Omicron, il virologo Guido Silvestri spiega perché gli allarmismi sono fuori luogo
Lo scienziato, professore ordinario di Patologia Generale alla Emory University di Atlanta, fa chiarezza sull’evoluzione della variante di SARS-CoV-2
Come è noto Omicron è una variante di SARS-CoV-2 molto diversa dal virus originario (“Wuhan virus”), la cui emergenza ha completamente cambiato la storia epidemiologica e clinica della pandemia COVID-19. Siccome in queste ultime settimane ci sono stati alcuni sviluppi molto interessanti, vale la pena fare un breve sommario della situazione.
1. Le caratteristiche virologiche e cliniche di Omicron, e delle sue forme originarie, chiamate BA.1 e BA.2, sono ormai note a tutti. Si tratta di un virus che, per specifici aspetti genetici e molecolari della sua proteina Spike (quella che il virus usa per entrare nelle cellule umane legandosi al recettore ACE-2), è molto bravo ad infettare le cellule dell’apparato respiratorio superiore (naso e dintorni) ma ha ridotto la capacità di infettare in modo efficiente l’apparato respiratorio inferiore (il cosiddetto “polmone profondo”).
2. Quando queste caratteristiche sono translate su un piano clinico-epidemiologico, Omicron si manifesta come una infezione molto contagiosa, ed anche notevolmente abile ad evadere la risposta immunitaria dell’ospite (e per questo in grado di causare infezioni sia nei soggetti vaccinati che nelle persone già precedentemente infettate con altre varianti di COVID). Per questa sua caratteristica Omicron ha completamente soppiantato ogni altra variante di SARS-CoV-2, al punto che oggi possiamo parlare di “pandemia Omicron”.
3. A causa delle caratteristiche virologiche che rendono difficile per Omicron infettare il polmone profondo, l’infezione causata da questa variante è anche sensibilmente meno patogenica (e quindi molto meno letale) del virus originario. Questo fatto è stato dimostrato in dozzine e dozzine di lavori scientifici, si ritrova in innumerevoli lavori clinici e nell’esperienza quotidiana del personale sanitario, ed è chiarissimo anche nella percezione pubblica della malattia, che ormai è rimasta severa quasi esclusivamente in soggetti fragili, molto anziani e/o non adeguatamente vaccinati.
4. L’evoluzione di SARS-CoV-2 verso un fenotipo più contagioso ma anche più benigno era stata prevista dal sottoscritto e da altri virologi veri (tra cui Roberto Burioni), e rappresenta una regola comune nell’interazione tra virus ed ospiti. Eppure alcuni soggetti, tanto loquaci quanto incompetenti, hanno insistito che non era vero, alcuni criticando il concetto come “pericoloso ottimismo” e sbeffeggiando l’uso del termine “omoplasia” (che invece cattura quello che è successo con le sottovarianti di Omicron emerse indipendentemente ma con simile fenotipo). Bisogna segnalare questi virologi “zero-tituli” non per togliersi sassolini dalle scarpe (che pure non guasta), ma per evitare di dare loro credibilità in futuro.
5. L’emergenza di Omicron ha avuto interessanti e profondissime conseguenze dal punto di vista della gestione del COVID a livello di sanità pubblica. In particolare, Omicron ha sancito definitivamente la fine dell’idea di arrivare al “Zero-COVID” usando le cosiddette “non-pharmacological interventions (NPIs)”, ossia le famigerate “chiusure” (e dintorni, come le quarantene, il tracciamento dei contatti, lo screening degli asintomatici, ecc.). La strategia Zero-COVID è stata abbandonata piuttosto presto dalla Nuova Zelanda, ed ora è finita anche in Cina, dove era diventato un simbolo (assurdo) di orgoglio nazionale. Oggi come oggi, parlare di epidemiologia del COVID e di NPIs senza distinguere tra pre-Omicron e post-Omicron non è scientificamente serio.
6. Una cosa da sperare, per il bene della scienza e dell’umanità, è che dopo la bruttissima fase in cui l’efficacia delle NPIs veniva vista ed imposta come un dogma di fede (e chiunque la mettesse in dubbio veniva additato come un eretico da bruciare) si possa ora condurre una valutazione critica e basata sui dati veri (e non su “modelli” spesso pieni di assunzioni del tutto arbitrarie!) dell’efficacia delle NPI e dei loro effetti collaterali sulla popolazione, anche e soprattutto alla luce di quanto accaduto con Omicron. Anche qui non si tratta di “revisionismo” fine a sé stesso, ma di una operazione da condurre con totale onestà intellettuale che è necessaria per ricostruire la fiducia dei cittadini verso le autorità sanitarie e scientifiche, in Italia e non solo.
7. È comunque interessante notare come l’emergenza di Omicron abbia avuto un impatto enorme a livello di comunicazione mediatica, spostando la percezione dell’infezione da parte del pubblico verso la “narrazione” di una malattia da accettare e da cui proteggersi attraverso vaccini e farmaci (i.e., usando la Scienza e non il Medio Evo), mentre torniamo tutti a vivere un’esistenza assolutamente normale. In questo senso rimane fondamentale l’importanza dei vaccini, che pur non proteggendo dal rischio di contagio mantengono una forte protezione dal rischio di malattia severa, e dei farmaci antivirali, da usare soprattutto nei pazienti ad alto rischio.
8. Tornando alla virologia di base, negli ultimi mesi sono emerse alcune sub-varianti di Omicron, tra cui la ben nota BA.5, che ha suscitato allarme in quanto un articolo pubblicato qualche tempo fa sulla prestigiosa rivista Cell aveva fatto ipotizzare che BA.5 fosse un virus più patogenico (e, quindi, quasi certamente più letale) delle prime forme di Omicron, BA.1 e BA.2. Come prevedibile, questo articolo, che era interessante ma aveva limiti concettuali e metodologici notevoli, era stato immediatamente rilanciato dai “sacerdoti del pessimismo” per evocare scenari allarmistici (e Dio solo sa quanto questo atteggiamento di malcelata compiacenza sia stato dovuto a pregiudizi ideologici oppure ad una banale incapacità di comprendere un articolo scientifico molto complesso dal punto di vista tecnico).
9. Senza andare nei dettagli, l’articolo in questione (Kimura, I. et al. Virological characteristics of the SARS-CoV-2 Omicron BA.2 subvariants, including BA.4 and BA.5. Cell 2022) arrivava alla conclusione che BA.5 fosse più patogenica (conclusione che gli autori stessi avevano giustamente definito “preliminare”) usando un virus ricombinante che era stato generato inserendo la parte specifica della Spike di BA.5 nel “backbone” del virus Omicron BA.1/2. In altre parole, veniva usato un virus che non esiste in natura, ma che era stato creato artificialmente in laboratorio. Insomma: dati interessanti, forse pubblicati da Cell in modo un po’ garibaldino, e certamente da valutare nel contesto di queste specificità metodologiche.
10. In questi giorni la rivista Nature, che rimane per tanti motivi il più serio ed attendibile giornale scientifico al mondo, ha pubblicato un articolo estremamente importante e metodologicamente molto più solido (Iraki R. et al, Characterization of SARS-CoV-2 Omicron BA.4 and BA.5 isolates in rodents. Nature 2022) in cui gli esperimenti di Kimura et al. sono stati ripetuti ed espansi usando virus BA.4 e BA.5 isolati direttamente da pazienti (e non generati in laboratorio). Questi esperimenti, fatti su tre diversi modelli animali (criceti siriani wild-type, criceti transgenici ACE-2 umano, e topi transgenici per ACE-2 umano) non hanno evidenziato alcuna differenza in patogenicità tra BA.1/2 da una parte e BA.4/5 dall’altra.
11. Anche lo studio di Iraki et al, ha dei limiti concettuali, tra cui il fatto di aver usato solo animali giovani e solo alcuni isolati di BA.5. In altre parole, lo studio non nega, come ovvio, la possibilità che esistano, là fuori, sotto-varianti di BA.5 più cattive — ma, come sappiamo, dimostrare la non-esistenza di una cosa è scientificamente impossibile e l’onere della prova sta a chi vuole dimostrarne l’esistenza. Certamente lo studio di Iraki indica che, alla luce dei dati al momento disponibili, non ci sono motivi per cui preoccuparsi particolarmente di BA.5, così confermando i dati clinici ed osservazionali sulla bassa letalità di questa variante.
12. Cosa portare a casa da questo post da un punto di vista del lettore medio Facebook? Direi tre messaggi molto semplici. Il primo è che la virologia di base è una materia molto complicata, e che se non si hanno gli strumenti per capire certi studi poi è facile prendere cantonate. Il secondo è che lo “stare nell’ambiente” (vedere i dati in anteprima, conoscere personalmente gli autori, ecc.) offre una prospettiva diversa, e molto migliore, nel valutare il valore di uno studio. Il terzo messaggio, perdonatemi la supponenza, è che chi certe cose non le capisce e/o vive fuori dall’ambiente, farebbe meglio a starsene zitto (o zitta) ed evitare di spargere disinformazione che fa solo danni a chi legge.
Guido Silvestri*, com.unica 16 dicembre 2022
*L’articolo è stato ripreso per Com.Unica (con il consenso dell’autore) da un post su Facebook pubblicato in data 15 dicembre 2022. Guido Silvestri, originario di Senigallia, è immunologo, virologo e professore ordinario, capo dipartimento alla Emory University di Atlanta (Georgia, Stati Uniti). Dal 2001 dirige un laboratorio di ricerca specializzato nello studio dell’infezione da HIV, di cui è uno dei massimi esperti mondiali. Svolge anche attività divulgativa ed è impegnato in battaglie contro le fake news a carattere pseudo-scientifico (contro il fenomeno dell’anti-vaccinismo in particolare). Nel 2019 ha pubblicato per Rizzoli il volume Il virus buono. Perché il nemico della salute può diventare il nostro miglior alleato e nel 2020 Ricominciare dalla scienza. 10 ragioni per affidarsi alla ricerca quando il resto ci abbandona, sempre per Rizzoli. Dal 2013 è direttore della rivista scientifica “Journal of Virology”.
**Nella foto in alto (di Max Sebastiani) Guido Silvestri interviene a Roma in occasione del conferimento del Premio FiuggiStoria Scienza 2021.