Lo storico israeliano prospetta un futuro inquietante dominato dall’intelligenza artificiale. Ma è davvero tutto così inevitabile?

Celebre per aver distillato l’intera storia dell’umanità in best-seller da milioni di copie come Sapiens e Homo Deus, Yuval Noah Harari sta facendo discutere molto di sé in questi giorni con un altro colpo da maestro: le 612 pagine di Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’IA (Bompiani). Sì, perché se c’è una cosa che lo storico israeliano sa fare è prendere concetti titanici e stratificati e renderli non solo comprensibili, ma anche irresistibilmente affascinanti. Questa volta, il suo focus è sulle reti di informazione: dai primi sistemi di comunicazione tra tribù preistoriche fino ai server che oggi fanno girare tutto, inclusi i cat video, e il futuro dell’intelligenza artificiale.

Il libro è una specie di macchina del tempo intellettuale che non solo ti porta attraverso le tappe evolutive della connettività umana, ma ti catapulta nell’ansia esistenziale dell’oggi: l’intelligenza artificiale sta arrivando a ridefinire, o meglio riscrivere, il concetto stesso di “essere umano”. In un mondo in cui gli algoritmi stanno imparando a conoscerci meglio di quanto ci conosciamo noi stessi, Harari non ci lascia nessun facile conforto: cosa significa esistere in un mondo in cui siamo sempre più intrecciati con le macchine? E in che modo l’intelligenza artificiale cambierà la natura stessa delle nostre relazioni, delle nostre società, e forse dell’essenza umana? Lo sguardo lucido e critico (a volte forse ipercritico) dell’autore ci invita a riflettere non solo sul progresso tecnologico, ma soprattutto sulla direzione in cui questo progresso ci sta conducendo.

Ciò che Harari ci invita a comprendere è che l’informazione non è più – e forse non è mai stata – il regno della verità assoluta. L’idea ottimistica di John Milton, secondo cui la verità avrebbe sempre trionfato sulla falsità, sprofonda nel mare di dati, di disinformazione e di algoritmi. Il web, lungi dall’essere l’arma definitiva contro il totalitarismo, è diventato un campo di battaglia in cui la realtà e la menzogna si fondono, in cui le storie false corrono veloci come le vere, e talvolta le superano. Il cuore della riflessione di Harari è una ridefinizione audace dell’informazione stessa: non più uno specchio della realtà, ma una forza che costruisce connessioni, una ragnatela che collega idee e persone in modo nuovo. È attraverso questi fili invisibili che si formano le strutture sociali, le civiltà, e persino i miti che ci governano. Per Harari, l’informazione è come una corda che possiamo tirare per tessere insieme società, leggi e divinità immaginate, capaci di tenere insieme moltitudini.

Il potere delle storie e delle narrazioni – che siano vere o false, mitiche o scientifiche – diventa l’elemento chiave della nostra esistenza. Questi racconti non devono necessariamente aderire alla verità: la loro forza sta nella loro capacità di essere condivisi, di orchestrare l’ordine sociale. La lettura della storia in Nexus è come una mappa su cui i continenti della democrazia e del totalitarismo si sfiorano e si distanziano. La democrazia, ci dice Harari, è un tipo di rete informativa dove il potere è distribuito e la fallibilità dei leader è ammessa. Il totalitarismo, invece, è una struttura in cui il flusso di informazioni è centralizzato e il potere si afferma come infallibile. Ma ora, con l’avvento delle tecnologie digitali, queste dinamiche sono messe in discussione, e nuove forme di controllo e manipolazione informativa si profilano all’orizzonte.

Ed è proprio qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale (AI), la vera protagonista di questo viaggio. Harari ci invita a vederla non come una semplice estensione della nostra capacità computazionale, ma come una forma di intelligenza “aliena”, un’entità che potrebbe, in futuro, diventare una nuova divinità, capace di influenzare la politica, l’economia e la vita quotidiana in modi imprevedibili. Come i testi sacri che hanno modellato secoli di storia, anche le decisioni prese oggi sull’AI plasmeranno il destino delle generazioni future. Harari immagina scenari in cui l’AI diventa una forza incontrollabile, capace di creare nuovi miti, nuove verità distorte, persino nuove forme di potere autoritario. Tuttavia, la sua narrazione non si ferma qui. L’AI, come la mitologia, diventa un mezzo attraverso cui interrogare il nostro tempo, per esplorare le profonde interconnessioni tra tecnologia, umanità e la perenne lotta tra verità e menzogna.

È indubbiamente una visione affascinante quella che ci offre l’autore, benché non priva di forti criticità. Se infatti è vero che le sfide poste dall’intelligenza artificiale sono immense e reali, la prospettiva di Harari spesso indulge in scenari apocalittici, che a tratti risultano più simili a una narrativa di tipo fantascientifico che a un’analisi rigorosa. La sua insistenza sul rischio che l’IA diventi una sorta di “intelligenza aliena” onnipotente non tiene conto delle numerose sfumature e delle varietà di intelligenze artificiali già esistenti, molte delle quali sono strumenti progettati per migliorare i sistemi informatici attuali senza minacciarne il controllo. Harari parla del rischio che la tecnologia sfugga al controllo dell’uomo, ma forse sottovaluta le azioni e le regolamentazioni già in atto per affrontare tali insidie. Inoltre, la sua preoccupazione per il dominio dell’AI come una forza inarrestabile dimentica il fatto che l’AI stessa, oggi, è ancora molto lontana dal raggiungere il grado di autonomia e complessità che egli immagina. A tratti, sembra che Harari si lasci trascinare dalle proprie “speculazioni selvagge,” come lui stesso le definisce. Le sue argomentazioni finiscono così per assumere una sfumatura fatalista, quasi nichilista, che rischia di mettere in ombra le possibilità più positive e costruttive che l’AI può offrire, come strumenti per migliorare la società e affrontare sfide globali.

In conclusione, Nexus rimane una lettura molto stimolante e provocatoria, ma con un tono eccessivamente allarmistico che, se da un lato cattura in maniera eccellente l’attenzione del lettore, dall’altro rischia di offrire una prospettiva troppo cupa e unilaterale. Il libro solleva domande cruciali, ma la sua analisi potrebbe beneficiare di un approccio più equilibrato e meno sensazionalistico, in grado di contemplare non solo i rischi, ma anche le straordinarie opportunità dell’intelligenza artificiale.

Sebastiano Catte, com.unica 3 ottobre 2024

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Yuval Noah Harari è nato nel 1976 a Kiryat Ata nel distretto di Haifa (Israele). Laureato in Storia al Jesus College dell’Università di Oxford, dal 2005 insegna all’Università Ebraica di Gerusalemme. Dal 2012 è membro della Accademia israeliana delle scienze e delle lettere. È noto soprattutto per aver pubblicato nel 2011 il best seller internazionale From Animals into Gods: A Brief History of Humankind (Da animali a dèi. Breve storia del genere umano, Bompiani 2014). Altri suoi titoli: 21 lezioni per il XXI secolo (2018) Homo deus. Breve storia del futuro (2018), Sapiens. I pilastri della civiltà (Bompiani 2021).

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