Il filosofo francese invita a guardare oltre la propaganda e a riconoscere la complessità di una guerra in cui, ancora una volta, la verità è una delle prime vittime.

“Utilizzando la parola genocidio insultiamo non solo la verità dei fatti e dei nomi, ma anche la memoria sacra delle vittime dei genocidi del secolo scorso”. Così, Bernard-Henri Lévy, filosofo di fama internazionale e autore di Israel Alone, prende posizione in un articolo pubblicato su “The New York Sun” contro le accuse mosse a Israele, definito da una crescente vox populi globale come uno “stato genocida”.

Lévy non si limita a contestare queste accuse: le demolisce pezzo per pezzo, con l’abilità retorica e la lucidità di chi ben conosce i genocidi. Lévy non parla da semplice teorico ma porta il peso delle sue esperienze come testimone diretto di tragedie umanitarie e genocidi in tutto il mondo: Srebrenica, Darfur, Mosul, l’Ucraina, e molti altri. Racconta di avere visto con i propri occhi le fosse comuni e gli orrori di regimi genocidi, ricordando che “so cosa significa essere promessi alla morte”. Il confronto con le accuse contro Israele risulta dunque insostenibile per Lévy, che dipinge un quadro in cui l’uso indiscriminato del termine “genocidio” è diventato “la parola magica, la parola letale, la parola disumanizzante”. Questo linguaggio, sostiene, non è solo falso, ma pericoloso: “Assolve gli europei — e il mondo — dalla loro storica colpa di aver massacrato per secoli gli ebrei”.

Il filosofo sottolinea come il termine “genocidio” sia stato sfruttato da gruppi politici e ideologici per dipingere Israele come uno stato “deumanizzato”. Le accuse provengono da ONG, circoli diplomatici, accademici woke nelle università americane e persino figure di spicco come Papa Francesco, che recentemente ha dichiarato che quanto accade a Gaza sembra possedere “caratteristiche di genocidio”. Tuttavia, per Lévy, questa connessione non regge: “Non si può caratterizzare come genocida un esercito che avverte prima di sparare e inonda i quartieri che sta per bombardare con messaggi di evacuazione”. Inoltre, sottolinea come la situazione a Gaza non possa essere equiparata ai genocidi storici, come l’Olocausto o i massacri di Srebrenica e Darfur. Un esempio calzante è l’affermazione che i corridoi di evacuazione aperti quotidianamente dall’esercito israeliano “non sono marce della morte”, e le tende in cui molti civili vivono “non sono camere a gas”.

L’articolo mette in evidenza le misure umanitarie adottate dall’esercito israeliano. Secondo Lévy, queste azioni dimostrano una cura senza precedenti per la popolazione civile, anche a costo di sacrificare vantaggi strategici. Parla di convogli di aiuti umanitari inviati quotidianamente a Gaza, campagne di vaccinazione che hanno raggiunto il 90% dei bambini e cure mediche fornite perfino ai parenti di leader di Hamas. “Abbiamo mai visto dei genocidi comportarsi così?” domanda provocatoriamente il filosofo.

Al centro della tragedia, secondo Lévy, c’è Hamas. Il gruppo è accusato di usare i civili come scudi umani e di bloccare gli aiuti umanitari per scopi propagandistici. Questo comportamento — non l’azione israeliana — sarebbe la causa principale delle sofferenze a Gaza. L’autore dell’articolo spiega poi come queste accuse di genocidio rientrino in una narrativa più ampia, che deforma i fatti storici per sostenere una nuova cospirazione contro gli ebrei: dalla “cospirazione giudeo-massonica” a quella “giudeo-genocida”. Lévy avverte che questo linguaggio non solo alimenta l’antisemitismo, ma mina anche la memoria delle vere vittime dei genocidi. “Così insultiamo la verità dei fatti e la memoria sacra delle vittime”, scrive con passione.

“I miti si forgiano così”, conclude Lévy. La retorica del genocidio, per lui, non è altro che una nuova forma di demonizzazione che perpetua pregiudizi storici contro gli ebrei. In un mondo dove le parole contano, il filosofo ci invita pertanto a riflettere sul potere distruttivo del linguaggio, soprattutto quando distorce la realtà e tradisce la memoria delle vere vittime.

com.unica, 22 novembre 2024

(Fonte New York Sun)

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