Se il Papa è prima di tutto il Vescovo di Roma
La Basilica del Laterano, voluta dall’Imperatore Costantino, rimane la sede del magistero del Papa, successore di Pietro e Vicario di Cristo.
Quella del 13 marzo 2013 è stata una giornata davvero memorabile per il mondo tutto. Veniva eletto Papa il cardinale Jorge Mario Bergoglio, 76 anni, gesuita, arcivescovo di Buenos Aires. Già il mattino, malgrado la pioggia insistente, una folla enorme attendeva impaziente davanti a San Pietro ed avevano tutti nel volto la commozione e la gravità come di chi è chiamato a compiere un rito solenne. Poi la sera stessa, quando il cardinale protodiacono Jean Louis Tauran, in seguito alla fumata bianca, pronunziò il nome, applausi insistenti e clamori di grida di giubilo ed allegro suono di campane e giocondi inni suonati dalle bande musicali, accolsero il novello Pontefice, venuto “quasi dalla fine del mondo”, cito parole sue, che, parlando alla piazza dalla loggia di San Pietro, si presentava come Vescovo di Roma, affermando che “il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma”.
Francesco, questo il nome scelto, viene dall’Argentina. Da quella terra dove 88 anni or sono nacque e maturò la sua scelta di vita, dove non c’era problema ch’Egli non abbia sentito ed affrontato. Formato alla Compagnia di Gesù, sentiva, con paternità tenerissima, tutta la sofferenza di quelle periferie, e recava per ogni piaga un balsamo, per ogni affanno e miseria la comprensione cristiana.
Arriva in mezzo al popolo che attende il Padre per gioire con lui, credere con lui, sperare, amare, essere guidato da lui. Viene. Uomo umile, non veste paramenti d’oro, e mai nel capo scintilla la mitra, mai nel petto 1a Croce sfavilla ed apre e solleva le braccia in un gesto benedicente e di amore. Ed allora la bianca figura, dall’andatura che pare non conoscere stanchezza, passerà, in visione di bene, come un giorno Gesù, come un giorno Pietro, come Paolo, in mezzo alle folle acclamanti. Il popolo tutto – gli umili e i grandi – andrà incontro al Padre e Pastore che, stretto alla Croce, muoverà verso la Cattedrale, nella sede propria dei vescovi di Roma. E da quel posto ineguagliabile vivrà con il suo gregge, in comunione di affetti non terreni, sempre. Vedrà affollarsi, ai piedi dell’altare, bimbi innocenti e giovani pieni di speranze, udrà le voci del canto e dell’invocazione salire, possenti di fervore, a Dio. Offrirà nel bel tempio, armonioso di linee, il divin Sacrifizio, poi, nella grandiosa semplicità del rito, consacrerà i leviti novelli e seguirà amoroso i passi del gregge che Gesù gli ha affidato.
E se il Papa è prima di tutto il Vescovo di Roma, resta intimo e vivo desiderio di Francesco che vescovo e popolo percorrano assieme il cammino. Ma egli sa scendere dalla cattedra e confondersi – ed è qui il segreto dell’immenso affetto e popolarità che in 11 anni di pontificato, ha goduto e gode sulla terra – con tutta la famiglia umana, immensamente amata, della quale conosce bisogni, pene, aspirazioni, ed alla quale reca tutto l’aiuto, tutto il conforto di parole di vita e di soccorsi senza posa e di ogni specie. Così che, ovunque fossero umili sofferenti ed affamati, arriva il coraggio e il cuore del Padre (papa dal greco “pappas” significa padre), presso tutte le razze, senza distinzione di fedi. Spesso e volentieri si ferma a riflettere, in illuminanti encicliche e discorsi, sui temi del presente, per parlare di religione e pace, giustizia, lavoro, ambiente, fratellanza.
Strenuo sostenitore dell’ecumenismo, e nel ritenere che l’intera chiesa si salverà sbarrando decisamente il passo all’errore e facendo posto alla verità, senza timori o compromessi, Papa Francesco, proseguendo un avviato percorso di confronto, non perde occasione per approfondire insieme il significato di collegialità, sancita dal Concilio, di sinodalità, dalle quali ripartire. Intuibile la sua posizione circa una possibile conciliabilità tra primato papale e chiesa sinodale. Su questo, a scanso d’ogni presunzione e ambizione, ipotizzando un nuovo modo di come gestire ed esercitare il primato, chiarisce che non c’è competizione fra la chiesa di Roma e le diverse confessioni cristiane. Che anzi, valorizzando la cultura del noi, avrà ancora una parola da dire al mondo, all’Oriente come all’Occidente, ai popoli di ogni latitudine, di ogni civiltà, di ogni razza, di ogni colore, soltanto se si sarà resa conto che il cristianesimo è ecumenicità.
Va ricordato che la Cattedrale di Roma, costruita per i papi dall’imperatore Costantino (320 circa) al termine delle persecuzioni, è la basilica Lateranense: per importanza definita “la prima di tutte le chiese di Roma e del mondo”, come recita una scritta latina sulla facciata del tempio più volte rifatto. Eppure anche se i papi, da sette secoli, ossia da quando partirono per Avignone in Francia (1305), non sono più presenti fisicamente in Laterano (noto un tempo come luogo di fastose dimore), ancor oggi rimane la cattedrale di Roma, la diocesi del Papa, chiunque egli sia.
È opportuno notare come gli ultimi pontefici, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora Francesco hanno sempre molto insistito sul fatto che il Papa è prima di tutto il “vescovo di Roma”. È lui stesso, Bergoglio, con la Costituzione apostolica “In ecclesiarum communione” del gennaio scorso a sottolineare ancora di più il suo ruolo di vescovo della Chiesa di Roma.
Giacomo Cesario/com.unica, 6 febbraio 2025
*Nella foto in alto: l’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Giovanni in Laterano in occasione del Giubileo della Misericordia (2015).