Mario Draghi e il destino dell’Europa: l’ultima chiamata
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Nel suo discorso al Parlamento europeo, l’ex presidente del consiglio delinea un’Unione che deve agire come un unico Stato per non rimanere indietro
L’ultima apparizione di Mario Draghi al Parlamento europeo non è stata solo una disamina tecnica sulla competitività economica dell’Europa, ma un grido d’allarme, una chiamata alle armi in un mondo che cambia con una velocità che il Vecchio Continente fatica a sostenere. La sua voce, calma e misurata, ha attraversato l’aula con la forza di un monito inevitabile: “Presto rimarremo soli a garantire la sicurezza in Ucraina ed Europa. Se uniti, saremo all’altezza della sfida e vinceremo.”
Un’Europa stagnante di fronte a un mondo in accelerazione: questa è la diagnosi di Draghi. Un’Unione che fatica a stare al passo con le rivoluzioni tecnologiche, con il riassetto geopolitico e con la competizione economica globale. L’intelligenza artificiale avanza a ritmi impressionanti, ma “otto dei dieci principali modelli sono stati sviluppati negli Stati Uniti, gli altri due in Cina”, ha sottolineato Draghi. Il tempo scorre, le opportunità si allontanano.
A pesare sulla competitività europea è anche il costo dell’energia, più del doppio rispetto agli Stati Uniti. Un problema che non è solo di mercato, ma di sicurezza strategica: le minacce alle infrastrutture sottomarine, le tensioni sui mercati del gas naturale, le interruzioni della produzione rinnovabile. L’Europa si trova davanti a un bivio: “Se non agiamo urgentemente, le tensioni interne aumenteranno e i progetti di interconnessione saranno rimandati”.
E poi c’è l’America. Un’America che cambia, che impone dazi e incentiva la rilocalizzazione delle imprese. Gli Stati Uniti non solo rischiano di sottrarre all’Europa i suoi mercati, ma anche i suoi capitali e la sua forza lavoro. Un’Europa frammentata e lenta nelle decisioni rischia di essere travolta: “Dobbiamo agire come se fossimo un unico Stato. La complessità delle sfide richiede un coordinamento senza precedenti tra governi nazionali, Commissione e Parlamento Europeo”.
Nel cuore del discorso di Draghi c’è una convinzione profonda: l’Europa ha i mezzi per ribaltare la situazione, ma non il tempo per le esitazioni. Serve un mercato più integrato, meno ostacoli interni, un sistema finanziario capace di trattenere i capitali e incentivarne l’uso per l’innovazione. “Abbiamo un mercato interno grande quanto quello statunitense, ma lo trattiamo come se fosse diviso in piccoli compartimenti stagni”.
La difesa, altro punto cruciale. L’Europa spende, ma in modo inefficiente: i sistemi nazionali non sono interoperabili, la produzione è frammentata, le decisioni lente. Se il supporto americano dovesse affievolirsi, saremmo pronti? La risposta di Draghi è implicita, e non lascia spazio a ottimismo.
Non è un discorso di resa, ma di consapevolezza. Di fronte a un Parlamento spesso abituato a procedere per inerzia, Draghi ha lanciato un’idea di Europa che ancora non esiste, ma che potrebbe esistere: un’Europa veloce, integrata, innovativa, capace di difendere i propri interessi senza affidarsi a potenze esterne. “Possiamo ravvivare lo spirito innovativo del nostro continente. Possiamo riconquistare la nostra capacità di difendere i nostri interessi e possiamo dare speranza al nostro popolo.”
Forse non basterà un discorso a cambiare il corso della storia europea, ma se l’Europa ascolterà le parole di Draghi, potrà almeno provare a scrivere il proprio futuro, invece di subirlo.
com.unica, 19 febbraio 2025